COMPACT DISC CLASSICS, Anno 1 - N.2
(Music and Media Publishing Ltd - UK)
Ottobre 2000 (pag.19):
A colloquio con... Sergio Calligaris
di Danilo Prefumo
Parliamo con il compositore italiano in occasione dell'esecuzione di
un suo lavoro a «Milano Classica»
In un mondo pieno di dubbi, di incertezze, in cui la crisi dei linguaggi musicali (o
del linguaggio musicale tout court
) sembra non lasciare più spazio tra una
stanca ripetitività di formule già mille volte usate ed uno sperimentalismo radicale
sprovvisto di qualunque connotazione estetica, l'opera musicale di Sergio Calligaris ha
l'ambizione e la volontà di voler dire ancora qualcosa: di dirlo in modo possibilmente
nuovo e articolato (a volte anche molto articolato), ma cercando di fornire
all'ascoltatore quel piacere uditivo che il radicalismo ha dimenticato, e che il
neoromanticismo, al contrario, banalizza. Essere nuovo senza essere inutilmente
provocatorio; piacevole senza essere corrivo; rigorosamente strutturato senza cadere nella
vuota astrazione: queste sono le scommesse che Sergio Calligaris tenta di vincere in ogni
sua nuova composizione, e delle quali ama parlare con un entusiasmo genuino che è lo
specchio naturale della sua intatta fiducia nelle capacità comunicative della musica (o,
perlomeno, della sua musica).
- Caro Maestro, nuovamente a Milano per una esecuzione di un suo lavoro
Sì, «Milano Classica» ha messo in cartellone la mia Toccata, Adagio e Fuga per
orchestra d'archi. Si tratta di un pezzo del 1995 con un evidente riferimento a Bach.
L'opera è in realtà di forma quadripartita, si apre con una Introduzione, affidata ai
violoncelli e ai contrabbassi, che anticipa le cellule motiviche di quelli che saranno
l'Adagio e la Fuga. La Toccata, in forma di movimento perpetuo, è invece una sorta di
grande invenzione a 4 voci in cui utilizzo tutte le tecniche, che amo molto,
dell'inversione e dell'aumentazione. L'Adagio molto e malinconico è collegato al primo
tempo da un andamento pensoso di violoncelli e contrabbassi. La Fuga, a quattro voci, è
nettamente atonale, anche se la sua armonia evita volutamente inutili e sgradevoli
dissonanze. Il tema principale, fortemente caratterizzato in senso cromatico, viene
ripreso e sviluppato in tutti i modi possibili: a canone, per inversione, per
aumentazione, etc.
- E il pubblico come ha accolto il suo pezzo?
È stato un grande successo, anche per merito della magnifica interpretazione
dell'orchestra «Milano Classica» di Vittorio Parisi, il direttore, che è anche il
dedicatario dell'opera. Sono molti anni che collaboro con Parisi, che ha diretto quasi
tutte le prime delle mie opere orchestrali. Non è facile che compositori e direttori
siano oggi così vicini. Anche perché oggi, di solito, i compositori non suonano come
solisti, e quindi posseggono meno una diretta conoscenza dei problemi dell'esecuzione
materiale delle opere. Io invece, come lei sa, ho iniziato la mia carriera come pianista
concertista. Il compositore non può dire tutto. Cosa si farebbe allora con la musica del
Sei-Settecento, in cui le indicazioni sono così poche? Spesso i grandi interpreti, lei lo
sa, non fanno ciò che il compositore indica. Io amo, come pianista, cose di carattere
intellettuale: però lascio ai miei interpreti la possibilità di ricreare le mie
composizioni, sempre seguendo la logica di ciò che ho scritto, ma in gran parte a modo
loro. E questo poter ascoltare le mie cose eseguite in modo diverso è per me una grande
ricchezza. La musica vive attraverso l'interprete. Non si può prendere tutto alla
lettera. Se Chopin scrive piano in una sua Mazurka, e il piano si mantiene per dieci
battute, vuole dire forse che sono dieci battute tutte uguali?
- In quale 'corrente' inserirebbe questo suo nuovo lavoro, la Toccata, Adagio e
Fuga?
Ci tengo molto a dire che non sono un 'neoromantico': non voglio lusingare il pubblico.
I neoromantici, del resto, non usano, di solito, le forme severe, come invece faccio io.
Io ho avuto una formazione accademica, mi sono laureato in composizione a sedici anni in
Argentina, e l'abitudine a risolvere i problemi tecnici e compositivi è per me quasi una
seconda natura. Io voglio fare una musica comunicativa, il che è diverso dall'essere
neoromantici. Vede, chi non conosce il brivido di suonare per gli altri, forse non
capisce, non arriva a capire quel che il pubblico chiede. Chi dice di non pensare al
pubblico, è astratto e poco pratico. Chi ascolta ha delle esigenze ataviche: ha bisogno
di una certa finezza nel ritmo, nella melodia e nella forma. La musica senza
organizzazione è amorfa. Bisogna avere un'organizzazione nella musica! La mia maniera di
vedere la musica ubbidisce a questa esigenza di sapere cosa funziona con il pubblico.
- Lei è indubbiamente un estroverso
Sì, ho una natura umana espansiva ed estroversa. Non scrivo musica ermetica. Sono di
origine italiana, ma alle spalle ho una cultura spagnola, più severa. Cerco quindi di
comunicare nella severità. Nel neoromanticismo, con questa voglia di comunicare a tutti i
costi, il discorso diviene molto semplicistico, dal punto di vista melodico, armonico e
contrappuntistico. Io amo le simmetrie, perché la simmetria vuole dire ritorno di qualche
cosa: il ritorno significa regolarità, e i temi devono essere riaffermati, sicché lo
sviluppo acquista più significato, perché uno può ricordare ciò che ha sentito.
- Lei è uno dei compositori contemporanei più eseguiti
Sì, e ne sono molto fiero. Molti musicisti amano la mia musica e la eseguono spesso.
Ad esempio il duo Mormone-Krilov esegue spesso il mio Doppio Concerto op.37. Io non spingo
la mia musica: sono gli esecutori che la amano. Posso anche dirle che il 29 ottobre, al
Teatro Orfeo di Taranto, l'Orchestra della Magna Grecia - di cui Vladimir Ashkenazy è
presidente onorario - e il brillante duo pianistico Fabio e Sandro Gemmiti, dedicatario
del lavoro, eseguiranno in prima mondiale il mio Doppio Concerto op.41 per due pianoforti
e grande orchestra: il direttore sarà ovviamente Vittorio Parisi. Si tratta di un'opera
cui tengo molto, che l'Orchestra della Magna Grecia mi ha commissionato e che
rappresenterà l'Italia in Giappone nel 2001 per il gemellaggio culturale Italia-Giappone.
Al Festival Pontino, inoltre, Vladimir e Dimitri Ashkenazy eseguiranno in prima mondiale
la mia Sonata op.38 per pianoforte e clarinetto, di cui sono dedicatari. Inoltre ho appena
ultimato un Ave Verum op.42 per coro misto o quartetto vocale e pianoforte, che verrà
eseguito prossimamente a Milano. Questo lavoro sarà pubblicato anche in versione per
pianoforte solo. È un lavoro che ho scritto quest'estate a Rocca di Mezzo, in Abruzzo,
una bellissima località che tanto amo e dalla quale ho tratto ispirazione per le mie
composizioni negli ultimi 12 anni.
Danilo Prefumo