Cultura&Identità,
Anno II - N.4
(Cultura&Identità)
marzo - aprile 2010 (pag.68):
La musica classica
fra tradizione e innovazione
Intervista al professor Sergio Calligaris
di Maurizio Brunetti
Incontrare di persona Sergio Calligaris - argentino, ma residente in Italia dal 1974 -
disorienta chi solo conosca anche solo un poco la sua biografia: in un ex-bambino prodigio
che divenne, giovanissimo, docente del Cleveland Institute of Music e della California
State University di Los Angeles e che ora è concertista internazionale e compositore
molto eseguito, lamabilità del tratto non sarebbe per niente scontata. Il suo
temperamento solare lo avvicina a un altro straordinario interprete del nostro tempo,
Vladimir Ashkenazy, a cui è legato da una sincera amicizia: nel 2001, sono stati proprio
Vladimir e il figlio Dimitri a eseguire la Sonata op. 38 per clarinetto e
pianoforte[1] che Calligaris aveva loro dedicato.
Quando si accosta al pianoforte, però, lausterità prende il sopravvento. In
occasione di questa intervista, raccolta il 24 febbraio 2010, il maestro ha eseguito Une
barque sur lOcean tratta da Miroirs di Maurice Ravel (1875-1937) e
lArabesque op. 18 di Robert Schumann (1810-1856), in uninterpretazione
scevra da impropri languori crepuscolari. È stato un assaggio del cosiddetto
pianismo di forza, che dona a ogni nota uno speciale scintillio[2].
Maestro, la sua biografia fa di lei un osservatore privilegiato per la musica
classica di tutto lOccidente
Ammetto che lessere cresciuto in Argentina da genitori italiani, laver
arricchito le mie esperienze musicali negli Stati Uniti, svolgere unattività
concertistica che mi ha portato fino a Manila - le Filippine sono, in fondo,
unestrema propaggine del mondo occidentale, non le pare? - e, infine, insegnare in
tre differenti conservatori in Italia, sono tutti fattori che contribuiscono a inquadrare
questo mondo artistico in molte delle sue sfaccettature.
Ritiene che ve ne siano alcune che sfuggano a chi si è formato esclusivamente nel
Vecchio Mondo?
Le faccio subito un esempio. Mentre, nel corso del ventesimo secolo, larte viveva
in Europa un certo smarrimento, si permeava di disperazione e perdeva self-confidence
- capisco che non sia stato uno scherzo rimuovere le macerie soprattutto morali di due
guerre mondiali e di due totalitarismi -, nelle Americhe il mondo musicale, nei suoi tre
aspetti - compositivo, esecutivo e didattico - raggiungeva una sua peculiare pienezza. Mi
pare che, in passato, latteggiamento prevalente degli europei nei confronti di quel
mondo sia stato un po superficiale e vanaglorioso. Certamente quello americano è
mondo giovane: non si ha tutti i torti nel definire Julián Aguirre (1868-1924), di cui ho
- a suo tempo - anche inciso qualcosa[3], lAlbéniz
[Isaac (1860-1909)] argentino, o nel riferirsi a Edward MacDowell (1861-1908), che è un
musicista sicuramente sottovalutato, come al Grieg [Edvard Hagerup (1843-1907)] degli
Stati Uniti. La situazione, però, già con la generazione successiva cambia
completamente: il contatto col mondo parigino degli anni 1920 non impedirà al brasiliano
e incredibilmente prolifico Heitor Villa-Lobos (1887-1959) o al newyorkese Aaron Copland
(1900-1990) di approdare a uno stile personale e molto americano, dove impressionismo e
neoclassicismo subiscono una decisiva metamorfosi grazie allincontro con la
vitalità carioca nel primo, e con lenergia da grandi spazi inesplorati
nel secondo. Ancora qualche anno dopo, largentino Alberto Ginastera (1916-1983), di
cui è molto noto il balletto Estancia che descrive latmosfera delle grandi
fattorie agricole del Paese che ci ha dato i natali con sapidità melodica e ritmica,
raggiungerà in lavori successivi e più astratti, come il Concerto per arpa, una
indiscutibile individualità e sapienza strutturale. Continuare lelenco dei
musicisti che hanno contribuito alla formazione di una estetica americana non
necessariamente folklorica ci porterebbe troppo lontano; mi permetta solo di ricordare
almeno il nome di Samuel Barber (1910-1981), autore di quellAdagio per archi,
poi rielaborato come Agnus Dei, la cui potenza evocativa ha giovato a tutti i
numerosi film in cui si è deciso di inserirlo[4]. Non è,
forse, insieme alla Rapsodia in Blu di George Gershwin (1898-1937), il pezzo
classico più conosciuto in assoluto tra quelli composti nel Novecento?
Molto in sintesi, ho limpressione che, in Europa, ancora si reputi la produzione
musicale classica americana degna solo di una più o meno sintetica nota a piè di
pagina in un libro ideale che contenga tutta la musica occidentale. Eppure, quando
da questa parte delloceano, si tratta di consigliare un manuale moderno di armonia,
la scelta cade spessissimo sullopera dello statunitense Walter [Hamor] Piston
(1894-1976)[5] - che insegnava ad Harvard, non proprio
lultima fra le università del mondo! - o, per una panoramica, in particolare, sulle
tecniche compositive del Novecento, su quella di Vincent Persichetti (1915-1987)[6]. Come si può pensare che costoro non abbiano scritto musica che
meriti di essere presa in considerazione?
Lei ha insegnato sia negli Stati Uniti sia in Italia. Può fare un cenno sulle
eventuali differenze riscontrate nellapproccio didattico?
Mi riferirò, comè naturale, alla situazione esistente negli anni in cui ne ho
fatto esperienza. Tendenzialmente, i conservatori in Italia preparano i futuri musicisti
anche da zero. A Cleveland, invece, lInstitute of Music accoglieva nel
suo Conservatory Department gli studenti quando erano già a un livello paragonabile al
nostro nono anno. Lì, io avevo degli special student, persone che venivano a
perfezionarsi senza necessariamente ambire a un titolo accademico. Fu Victor Babin
(1908-1972) a offrirmi un incarico di docenza, dopo che conseguii lArtist Diploma,
assegnato solo a chi, avendo già conseguito un master, riuscisse a esibirsi, in
tre concerti pubblici successivi, su un vastissimo repertorio da Mozart [Wolfgang Amadeus
(1756-1791)] a Shostakovic [Dimitri (1906-1975)], passando per Liszt [Franz (1811-1886)],
Debussy [Claude (1862-1918)] e Scriabin [Alexander (1872-1915)].
Dalla metà degli anni 1970, e per un quarto di secolo, ho insegnato Pianoforte Principale
a Napoli, a Pescara e allAquila. Si noti che negli Stati Uniti, a differenza di
quanto accadeva allora in Italia, agli studenti veniva esplicitamente richiesto di
esibirsi in pubblico suonando a memoria e di partecipare a formazioni cameristiche. Non di
rado, alcuni studenti vincevano premi ancor prima di completare gli studi.
Ho notato che, negli ultimi anni, i premi internazionali di musica classica di un
certo prestigio sono vinti sempre meno spesso da giovani provenienti dallEuropa
Occidentale
Limitandoci a giovani che hanno avuto riconoscimenti nel 2009, ho riflettuto a lungo su
che cosa li accomuni. Cè la pianista cinese Yuja Wang, che ha vinto, come
giovane artista dellanno, il Gramophone Award - una specie di Premio
Oscar per la musica classica -; cè lucraino Denis Zhdanov, pianista vincitore
del Premio Chopin di Roma; ci sono i serbi Slobodanka Stevic and Aleksandar Gligic, che,
sempre a Roma, hanno vinto lo Special Prize Sergio Calligaris allinterno del 19th
International Piano Competition, suonando un mio pezzo per due pianoforti[7] -; cè il violoncellista giapponese Michiaki Ueno, arrivato
primo alla International Tchaikovsky Competition. Aggiungo alla lista la terna di
vincitori del Concorso pianistico Van Cliburn che si svolge in Texas - di nuovo un
giapponese, un cinese e una coreana - e, infine, lultima giovanissima Carmen
alla Scala di Milano, la soprano georgiana Anita Rachvelishvili.
Ecco ciò che li unisce: provengono tutti da Paesi che meno hanno patito la rivoluzione
culturale del Sessantotto e i suoi laissez-faire pedagogici. Forse la tesi di
Bernhard Bueb, per il quale, oggi in Occidente «i giovani non vengono più allevati,
ma si limitano a crescere»[8] è un po forte. È,
tuttavia, un fatto che ai nostri giovani, a un certo punto, non sia stato più trasmesso
il valore della disciplina interiore, del dominio di sé. Non è che in loro manchi il
talento. Purtroppo, quando questo non è pari alla disciplina e questultima alla
tecnica, si smette di essere competitivi e le carriere non decollano. Ove non si insegni
più ai nostri giovani di talento il valore della disciplina, li si condanna alla
mediocrità.
È vero, sono stato un bambino prodigio, ho composto un balletto per pianoforte orchestra
a dieci anni, messo in scena al Teatro El Circulo di Rosario e mi sono esibito per la
prima volta come solista a tredici[9], interpretando la Sonata
op. 26 di Beethoven [Ludwig van (1770-1827)], opere di Chopin [Fryderyk Franciszek
(1810-1849)], di Alberto Williams (1862-1952) - il nazionalismo dellepoca imponeva
che il programma contemplasse almeno un autore argentino - e di Rachmaninov [Sergej
Vasilievic (1873-1943)], ma questo talento in nuce sarebbe ben presto appassito
allombra dello spontaneismo, se mi fossi rifiutato di adeguare il mio temperamento
ai severi tirocini impostimi dai miei maestri[10]. Da anni, e a
meno che una malattia non lo permetta, mi alzo ogni giorno entro le cinque del mattino e
studio per ore, iniziando su una tastiera muta con un preludio e una fuga dal Clavicembalo
ben temperato di Bach [Johann Sebastian (1685-1750)], suonati a memoria. È questa
disciplina, che oggi calza su di me come una seconda natura, a donarmi quella libertà che
si traduce, da un lato, nella capacità di poter stabilire in anticipo leffetto di
ogni singola nota che suono e, dallaltro, in una forza interiore che non farà mai
dipendere lesito concertistico dallumore del momento.
Lei ha composto una cinquantina di lavori, alcuni dei quali moltissimo eseguiti,
come il Quaderno pianistico di Renzo op. 7. Fra le sue opere troviamo sonate,
concerti, suite, quartetti[11]. Già la scelta dei titoli
lascia intuire un sentirsi a proprio agio con le grandi forme musicali della tradizione.
Accetterebbe di essere definito un compositore conservatore?
Premetto che anche nel mondo dellarte capita che le parole siano spesso
utilizzate come clave per denigrare o ridurre al silenzio posizioni estetiche diverse
dalle proprie. Alla fine dellOttocento - penso agli anni di formazione di Gustav
Mahler (1860-1911) - lavanguardia dei wagneriani accusava Johannes
Brahms (1833-1897) di comporre una musica conservatrice non più attuale. Sarà Arnold
Schönberg (1874-1951), nel 1933, a fare giustizia, attirando lattenzione sul
carattere innovativo delle sue strutture motiviche[12].
Effettivamente, laudacia armonica dellIntermezzo brahmsiano op. 119 no. 1,
composto nel 1893, sfiora latonalità.
Dagli anni Sessanta del secolo scorso si è iniziato a etichettare come
conservatore chiunque non accogliesse con entusiasmo gli sperimentalismi degli
allievi di Olivier Messiaen (1908-1992) a Darmstadt in Germania[13].
Si diceva che il ventunesimo sarebbe stato il secolo della musica aleatoria[14] e di quella concreta[15].
Sicuramente la musica che scrivo io è molte miglia lontana da ognuna delle tendenze che
ho appena citato e che, mi permetto di dire, credo stiano invecchiando piuttosto male.
Credo che la forma sorregga utilmente lispirazione poetica. Prediligo larmonia
per quarte, la logica del contrappunto e luso talvolta percussivo del pianoforte
alla Bartók [Béla Viktor János (1881-1945)]. Non uso quarti di tono ed effetti
sirena. Nella mia musica vi sono, certo, momenti dissonanti, e può accadere che
ricorra a tecniche dodecafoniche, ma, come le ho già detto in unaltra occasione[16], non sono tra quelli che evitano con scrupolosità maniacale il
ricorso ad accordi minori o maggiori perfetti, o che si vergognano della cantabilità di
una propria melodia.
Ebbene, mi sento conservatore nel senso indicato da Seneca [Lucio Anneo (4 a.C.-65 d.C.)]:
«Dunque, inseguo il percorso degli antichi? Lo seguo, ma mi permetto di trovare
qualcosa di nuovo, di modificare, di abbandonare la tradizione su qualche punto. Il mio
libero assenso non è schiavitù»[17]. Nella storia della
musica i salti sono pochissimi. Di solito, invece, assistiamo a evoluzioni organiche: ogni
compositore riceve in eredità una tradizione musicale e la filtra imprimendovi la propria
personalità.
E dire che alcuni manuali di larga diffusione in Italia propongono la storia della
musica come una successione di posizioni antitetiche
e, per questo, squalificano come epigoni tutta una serie di giganti. Quando si
dice che senza Chopin, i preludi giovanili di Scriabin e quelli di Rachmaninov non
sarebbero mai stati scritti, oppure quando si nota la continuità tra limpasto
sinfonico di Tchaikovsky [Pjotr Ilic (1840-1893)], quello di Glazunov [Aleksandr
Konstantinovic (1865-1936)] e quello di Rachmaninov, certamente si dice il vero; anzi,
rilancerei, accostando al compositore e virtuoso russo anche Grieg, per la preziosità
delle risoluzioni armoniche, che si fanno quasi autonome rispetto alla melodia, tanto sono
suggestive.
Detto questo, bisogna anche riconoscere che Chopin, Tchaikovsky e Grieg non hanno scritto
- mi scusi lovvietà - i preludi, i concerti e le sinfonie di Rachmaninov, nei quali
emerge una voce personale riconoscibilissima. Per non parlare del fatto che molti dei suoi
numeri dopera - cito solo la sinfonia corale The Bells op. 35, eseguita
recentemente anche a Roma[18], e la sua Terza Sinfonia op.
44 - sono capolavori assoluti. Ecco perché [il critico] Massimo Mila (1910-1988) ha
sbagliato a dedicare a Rachmaninov solo due righe del suo fortunato manuale[19].
Al contrario, si dà generalmente molto spazio, e giustamente, a Claude Debussy, quasi che
in lui non emergano reminiscenze di autori che lhanno preceduto. Eppure, nella Suite
Bergamasque, quella che contiene il celebre Clair de Lune, è, invece,
tangibile la consequenzialità armonica sofisticata di Massenet [Jules-Émile-Frédéric
(1842-1912)]; uninfluenza, questa, palpabile anche nella struttura armonica che
sorregge i temi arcaicizzanti di unopera tarda come la Sonata per flauto, arpa e
viola.
Nel ventesimo secolo, le vere fratture che vi sono state riguardano i tentativi di
superare in una sintesi la dialettica suono/rumore, come nelle esperienze
davanguardia che ho sopra citato, oppure quella di suono/assenza di suono - penso al
provocatorio 433 di John Cage e ai suoi pezzi per esecutore
silenzioso. Il minimalismo di Steve Reich e altri, invece, caratterizzato da una
staticità armonica estenuante e da modulazioni volutamente naïf, lo interpreto
come lequivalente in musica del pensiero debole in filosofia. Anche
questa è unesperienza lontana dalla mia sensibilità. Il mio è un pensiero
musicale forte, strutturato, ratzingeriano!
Altrove ha già espresso le ragioni di una sintonia anche intellettuale con
Benedetto XVI, cui ha dedicato nel 2005 il Panis Angelicus op. 47[20]. Il pezzo è stato molto applaudito alla sua prima esecuzione[21]. Certo è che, nel panorama classico contemporaneo, la sua
musica sembra avere una forza comunicativa fuori dal comune
Qualcuno ha detto che, se è vero che ogni compositore elabora architetture sonore, io
costruisco anche
ponti! Una mia opera può dirsi riuscita se permetto che arrivi al
mio prossimo qualcosa del mio universo interiore. Il pubblico non lo sa, ma è la logica,
il rigore della scrittura a garantire un tale risultato. Ci sono opere, anche giovanili,
come il Primo concerto per pianoforte e orchestra di Prokofiev [Sergej Sergejevic
(1891-1953)] o la Prima sinfonia di Shostakovic che affascinano al primo ascolto:
solo lo studio delle partiture, poi, rivela quanto ciò sia dovuto alla serrata
concatenazione dei nessi tematici.
La maggioranza dei più giovani, però, sembra manifestare una crescente
indifferenza nei confronti della musica classica di qualunque tipo. Crede che siano
ipotizzabili strategie culturali in grado di invertire la tendenza?
Intendiamoci: anche quando, cento e più anni fa, i romanzi di Dostoevskij [Fëdor
Michailovic (1821-1881)] e di Tolstoj [Lev Nikolaevic (1828-1910)] erano best-seller,
la modesta letteratura sentimentale dappendice garantiva ai suoi editori rendite
più alte. In altre parole, nessun tipo di intervento potrà far sì che, in un futuro
prossimo, il numero degli appassionati di musica classica cresca fino riempire gli stadi
come accade per i concerti rock.
Sicuramente non aiuta il fatto che siano stati cancellati la quasi totalità degli spazi
che, ancora fino a dieci anni fa, le reti pubbliche riservavano alla musica classica.
Ricordo programmi come Maratona dEstate con Vittoria Ottolenghi, dedicata al
balletto; cera Voglia di musica con Luigi Fait, e Spazio Due su Rai
Due. Tutti e tre, allepoca, mi coinvolsero a vario titolo. Ricordo anche il
programma quotidiano di Laura Padellaro su Radio Due, Loro della musica: non
erano solo gli intellettuali a trovarlo attraente. Radio Tre è, da questo punto di vista,
un ultimo baluardo. Un eventuale canale televisivo tematico non sostituisce veramente
quegli spazi, visto che viene cercato solo da chi è già un super-appassionato
È probabile che, in passato, nei confronti del mondo giovanile, si sia anche sbagliata la
strategia di marketing. Oggi è importante che la musica classica sia proposta da
giovani. Abbiamo in Italia dei giovani virtuosi del pianoforte, del violino e del
violoncello che non sfigurerebbero, per presenza fisica, nel cast di una soap
opera di successo. Una volta data loro una chance di esibirsi, magari nelle
scuole, i ragazzi comprenderebbero finalmente che le ricchezze di questarte non sono
solo alla portata dei loro nonni, ma attendono anche loro, magari - perché no? - in veste
di protagonisti. Registro, in positivo, liniziativa dei concerti sinfonici gratuiti
che, ad esempio, il Teatro San Carlo di Napoli ha organizzato nelle varie sedi
universitarie della città, con un giovane direttore dorchestra che descriveva
brevemente i pezzi prima dellesecuzione. Riccardo Muti dirige unorchestra
giovanile composta da esecutori che hanno dai diciassette ai ventotto anni. Se solo fosse
loro garantito un minimo di visibilità, si attiverebbero con facilità dinamiche
psicologiche di emulazione. Ma sono operazioni che vanno promosse anche in scuole di
ordine e di grado inferiori, magari tramite lausilio del grande medium
televisivo. Va da sé che tali operazioni non possano essere a costo zero.
Da quando vive in Italia, ha visto lalternarsi di governi di diverso
orientamento. Ha riscontrato in essi una sostanziale diversità tra le rispettive
politiche culturali?
La prego di non farmi entrare nel novero di chi esprime opinioni su ambiti lontani dai
propri. Non voglio fare la fine di quegli uomini dello spettacolo o dello sport che,
ospiti dei talk show, finiscono per pontificare sui massimi sistemi con esiti
prevedibilmente patetici. Limitandomi, perciò, al solo mondo dellarte che mi
compete, inviterei i politici di entrambi gli schieramenti, ma con sfumature diverse, a
una maggiore attenzione alla nostra realtà musicale che è complessa e va studiata; il
che, me ne rendo conto, costa tempo e fatica.
[1] Una incisione della Sonata eseguita da
Antonio Tinelli al clarinetto e Giuliano Mazzoccante al pianoforte è disponibile sul compact
disc Sergio Calligaris. Rigor y Pasión, DAD Records DAD-021-2, 2006.
[2] Questa tecnica è descritta con dovizia di particolari in PAOLO DE BERNARDIN, La
logica della forma, in InarCASSA. Trimestrale della Cassa Nazionale di Previdenza e
Assistenza Ingegneri ed Architetti, Liberi Professionisti, anno 31, n.4,
ottobre-dicembre 2003, pp. 86-88, consultabile anche sul sito
<http://www.sergiocalligaris.com/scalit/ina04it.htm> visitato lultima volta il
3-3-2010.
[3] Si tratta di Triste (Elegia) no. 4, nel disco Piano music of Latin America,
LP: Orion Records, ORS 7286, che contiene anche altre opere di autori latino-americani,
come il Preludio in Sol minore di Floro Melitón Ugarte (1884-1975) e il Preludio
no. 6 Caiçaras di Francisco Paulo Mignone (1897-1986).
[4] Fra gli altri: The Elephant Man (1980) di David Lynch, Platoon (1986) di
Oliver Stone; Lolio di Lorenzo (1992) di George Miller; e Il fantastico
mondo di Amélie (2001) di Jean-Pierre Jeunet.
[5] Cfr. WALTER HAMOR PISTON, Armonia, trad. it., Edizione E.D.T., Torino 1989.
[6] VINCENT PERSICHETTI, Larmonia del ventesimo secolo. Aspetti creativi e
pratici, trad. it., Guerini Scientifica, Milano 2009.
[7] Si tratta delle Due Danze concertanti (Guerriera/Ideale) op. 22.
Lesibizione del duo può essere ascoltata visitando il sito web
<http://www.youtube.com/user/ingmarduo#p/a/u/0/vRQQGxYokB8>, consultato
lultima volta il 3-3-2010.
[8] BERNHARD BUEB, Elogio della disciplina, trad. it., Rizzoli, Milano 2007, p. 11.
[9] Il concerto si tenne a Rosario presso il Museo Municipal de Bellas Artes Juan
Bautista Castagnino.
[10] Calligaris ha studiato composizione con Luis Angel Machado (1922-2007) e, come
pianista, con Jorge Fanelli (1897-1971) a Buenos Aires, Nikita Magaloff (1912-1992) a
Siena, Adele Marcus (1906-1995) ad Aspen in Colorado, con Guido Agosti (1901-1989) a Roma
e con Arthur Loesser (1894-1969) a Cleveland; sul punto cfr., per esempio, P. DE
BERNARDIN, op. cit. , p. 88.
[11] Un elenco contenente tutte le opere di Sergio Calligaris pubblicate dalle Edizioni
Carisch si trova sul sito <http://www.sergiocalligaris.com/scalit/catit.htm>
consultato il 3-3-2010.
[12] ARNOLD SCHÖNBERG, Stile e idea, trad. it., Feltrinelli, Milano 1960, pp.
56-104.
[13] I più noti sono Pierre Boulez, Luciano Berio (1925-2003), Luigi Nono (1924-1990),
Karlheinz Stockhausen (1928-2007), e Iannis Xenakis (1922-2001).
[14] Una partitura di musica aleatoria, tipicamente, conterrà notazioni volutamente
generiche o imprecise, oppure linee e diagrammi -gesti sonori- che l'esecutore
ha libertà di eseguire come meglio crede. Rappresentanti di questa tendenza sono
l'americano John Cage (1912-1992), l'argentino Mauricio Kagel (1931-2008) e, per qualcuna
delle sue opere, l'italiano Sylvano Bussotti; sul tema cfr. JOHANNE REVEST, Alea,
happening, improvvisazione, opera aperta, trad. it., in Enciclopedia della musica,
Einaudi, Milano 2006, vol. III, pp. 312-321.
[15] Questa tendenza, di cui è caposcuola riconosciuto Pierre Schaeffer (1910-1995),
inserisce nelle proprie composizioni suoni e rumori provenienti dalla natura,
eventualmente rielaborandoli elettronicamente; cfr. FRANÇOIS DELALANDE, Il paradigma
elettroacustico, trad. it., ibid., pp. 380-401.
[16] Cfr. il mio Sergio Calligaris. Il pensiero del musicista dalle sue parole, in Il
settimanale di Padre Pio, anno V, n. 29 del 10 dicembre 2006, pp. 24-26, consultabile
anche sul sito <http://www.sergiocalligaris.com/scalit/spp49it>, visitato
lultima volta il 3-3-2010.
[17] LUCIO ANNEO SENECA, Lettera LXXX in Lettere a Lucilio, trad. it.,
Rizzoli, Milano 1998, p. 139.
[18] The Bells è stata eseguita il 19, il 21 e il 22 dicembre 2009
dallOrchestra e il Coro di Santa Cecilia diretta da Antonio Pappano presso
lAuditorium Parco della Musica di Roma.
[19] Cfr. MASSIMO MILA, Breve storia della musica, Einaudi, Torino 2005.
[20] Cfr. la mia op. cit., p. 26.
[21] Si tratta del concerto svoltosi nella Basilica della Santa Casa di Loreto il 30
luglio 2007 e inciso sul compact disc Omaggio a Sua Santità Benedetto XVI, Armonie
della sera ADS 06; cfr. anche la mia recensione Un concerto lungo quattro secoli di
musica sacra, ne il Domenicale, anno VII n. 23, 7 giugno 2008.
Maurizio Brunetti è un matematico. Insegna presso la Facoltà di Ingegneria
dell'Università "Federico II" di Napoli in qualità di ricercatore. Ha
conseguito il Dottorato in Matematica in Italia e il Ph.D. all'Università di Warwick
(UK). La sua attività di ricerca si svolge nell'ambito della Topologia algebrica. I suoi
lavori scientifici sono apparsi su riviste specializzate e presentate in occasione di
convegni internazionali.
Oltre che con altri periodici, collabora con Cultura&Identità.