50&Più, Anno XXV - N.2
(Editoriale Cinquanta&Più Srl)
Febbraio 2003 (pag.82):
Sergio Calligaris, pianista sublime
Comincia a suonare nel cuore della notte
di Paolo Giorgi
E' poco prima dell'alba che il musicista si mette al suo pianoforte
per «allenarsi». Nato in Argentina da genitori italiani, Sergio Calligaris ha ottenuto
successo di pubblico e di critica in tutto il mondo. Una sua caratteristica: le grandi
mani, inusitate per un virtuoso del pianismo come lui, ma che scorrono abili e veloci
sulla tastiera. Il suo debutto, a soli 13 anni, con la sonata «Opera 26» di Beethoven.
Fiume inarrestabile di entusiasmo Calligaris racconta le tappe della sua vita artistica.
Il suo prossimo concerto si terrà a San Pietroburgo.
Per i meno provveduti parrà un'eresia, eppure ars est celare artem, la funzione
dell'arte è nascondere se stessa, e questo detto è da apporsi alla carriera, al credo
artistico di un grande pianista come Sergio Calligaris, profondamente convinto della
necessità del rigore di una tecnica maniacalmente perseguita, di una disciplina ferrea
nella costante avarizia di atteggiamenti temperamentosi o lirismi stucchevoli durante
un'esecuzione.
Le sue lunghe braccia disegnano ornati fantastici mentre incastonano gli eventi di una
carriera, di una vita da romanzo. Le grandi mani inusitate per un virtuoso del pianismo
come lui, paiono ora delle morse, ora degli artigli, ora delle pale gigantesche mosse da
una vitalità e entusiasmo contagiosi. Narratore infaticabile, seduttivo, in questi suoi
deliziosi locali in penombra in cui troneggia un pianoforte che è la sua vita insieme ad
uno dalla tastiera muta, in camera da letto, su cui quotidianamente dalle 5 meno venti del
mattino si allena con invidiabile, innata, perseveranza dei predestinati.
E Sergio Calligaris nato in Argentina da genitori italiani, predestinato sentì di
esserlo assai precocemente. S'immagini una bella casa dorata dimora d'un ingegnere che
suona benissimo il pianoforte e la chitarra e il violino, s'immagini disteso carponi su un
tappeto un fanciullo, suo figlio, con due accese passioni il meccano e il balletto:
l'uno da chiare ascendenze paterne, diviene ingegnoso mezzo per fantastici palcoscenici,
l'altro è in dote dal ramo materno dedito da sempre al balletto classico; la musica di
una radio accompagna i suoi giochi ma all'insorgere delle Stagioni opera 67 di
Glazunov, all'insorgere di quelle note indimenticate, pur con tutta l'approssimazione di
un bambino, Calligaris sentì, chiaro, fortissimo, tracciato il suo destino di musicista.
«Debuttai a 13 anni come pianista con la sonata Opera 26 in la bemolle maggiore
di Beethoven ed opere di Chopin e Rachmaninov mentre in me nasceva prepotente il desiderio
di cimentarmi con il pianismo americano. Per americano intendo quello dei grandi talenti
fuorusciti dalla Russia del tempo e giunti negli Stati Uniti, una colonia di pianisti che
aveva importato un suono e una maniera di grande vitalità tecnico-atletica, quella
succursale di russi immigrati insegnava a suonare, per esempio, con forte aderenza alla
tastiera, una particolare posizione delle mani per cui a me, non ha mai infastidito
suonare con l'orologio al polso. In più pretendevano grande compostezza, banditi i
fronzoli o contorsioni ispirate. Un maestro su tutti ammiravo dalla mia Argentina, Loesser
e da lui approdai a 21 anni a Cleveland, Ohio per studiare e perfezionarmi.»
E furono studi così proficui che in poco tempo Calligaris è professore di quella
Facoltà di pianoforte i cui allievi sono tutti molto più grandi di lui, e a quel punto
da Cleveland si acconsente ad un periodo sabbatico nel quale il giovane talento, con uno
spirito indomito ed una rara tensione morale, parte per una serie di concerti in tutta
Europa, per una assenza di due anni.
«Ero un insegnante molto tollerante, comprensivo quanto irremovibile; io insegno
suonando e risuonando il pezzo per i miei allievi compresi i tanti italiani che ho avuto
quando, trasferitomi in Italia, ho insegnato a Napoli al Conservatorio S.Pietro a
Majella, al Luisa D'Annunzio di Pescara e all' Alfredo Casella de
L'Aquila. Amavo l'Italia, il carattere della sua gente, le morbidezze del suo clima, un
po' meno la mancanza di disciplina che ho spesso rimproverato in tanti giovani allievi,
dotatissimi ma incapaci di rigore e costanza. Come si può vedere, nei più prestigiosi
concorsi del mondo pianistico, dominano gli asiatici, gli orientali, e... gli argentini:
temperamento e ferrea volontà. Tecnica e abnegazione, che è poi quello che predico da
sempre nei concorsi in cui sono giurato. Anche in Italia oltre che nel mondo, è
indiscussa l'eccelsa statura dei Benedetti Michelangeli, dei Pollini, di quel pianismo
insomma, scevro da edonismi: musicisti che sono anditivi per eccellenza con una fredda e
calcolata intensità, aggettivi solo in apparenza in contraddizione con la qualità.»
Nella galleria degli amori di Sergio Calligaris sfilano dopo il sovrano e inarrivabile
Robert Schumann, gli Horowitz, i Rachmaninov, Glenn Gould se pur con qualche perplessità
per certe sue irriverenze forzate alla grande tradizione, Ashkenazy suo carissimo amico
personale e dedicatario della Sonata op.38 per clarinetto e pianoforte, del
Calligaris compositore che già a dieci anni, complice il suo amore per il balletto, ne
aveva composte le musiche per uno dal titolo L'eterna lotta. Che pare un presagio
di quanto si va dipanando se si pensa che nello stesso Cleveland Institute of Music,
è in serbo per lui anche la laurea in composizione... Ma torniamo ai suoi concerti:
«Indimenticabile a 24 anni quello alla Brahmssaal del Musikverein di Vienna in cui con
l'audacia dei miei verdi anni e, mi si passi la presunzione, la coscienza dei miei studi,
decido di suonare come primo pezzo in programma, il Rondò K.511 di W.A.Mozart. Lasciamo
da parte la difficoltà estenuante del pezzo, ma suonare Mozart, in quel santuario e a
Vienna pareva la mia, una vocazione al suicidio. Il pubblico lì, segue con la partitura
tra le ginocchia, è un palato sofisticatissimo quello degli austro-tedeschi. Io ero un
giovane girovago, avevo suonato poche ore prima a Roma e poi a Madrid quel pezzo, sentivo
la grazia dalla mia parte e quando mi sedetti di fronte a quell'imperiale Bösendorfer, 5
tasti in più degli altri pianoforti per sonorità, quando calarono le luci ed io rimasi
solo sulla scena, produssi un'esecuzione magistrale. Intendiamoci, magistrale per me sta
per risultato di ore e ore di studio, niente svolazzi, improvvisazioni o acrobazie:
tecnica e intensità, partecipazione e sapiente distacco. Un'applauso fragoroso fece sì
che il seguito, mi pare fosse Scriabin, venisse fuori divinamente. Per contro, ricordo a
Los Angeles, un brivido freddo per la schiena quando, accingendomi a suonare, mi accorsi
di avviarmi ad un concerto dolorosissimo, il pianoforte con cui avevo a lungo provato fino
al pomeriggio, era stato sostituito! Per un concertista questi incidenti sono come una
catastrofe... Ma lo spettacolo, come si sa, deve andare avanti e così fu anche in quel
caso.»
Sergio Calligaris, fiume inarrestabile di entusiasmo, vola al suo presente, al suo
futuro: il primo denso di concerti per puro scopo umanitario, il secondo, prossimo, è
nella lontana San Pietroburgo (sorta nel 1703 anche dal talento di tanti italiani), la
città russa ospiterà il suo Preludio e Toccata opera 44 per piano solo, eseguita
per l'occasione da Monaldo Braconi, pianista dell'Accademia di Santa Cecilia, una
committenza richiesta a Calligaris dalla casa editrice Carisch. C'è anche un Cd per la
Warner Chappell in cui una selezione della musica di Calligaris che l'autore ha scelto
pensando nientemeno che ai creativi pubblicitari, potranno essere usate già sotto forma e
durata di jingle per musiche da film o spot elevando la qualità del settore
con composizioni colte.
Intanto, dai vetri del soggiorno, il cielo di Roma trasuda d'ombre plumbee, l'elegante
figura di questo superbo interprete si dirige felpata e sicura verso il pianoforte che ci
ha tenuto muta compagnia a lungo. Senza affettazione il Maestro si toglie gli occhiali,
lascia al polso il suo cronometro e si mette a suonare lo scintillìo di raggi che
picchiettano onde immaginarie, il fraseggio stretto e incalzante dei suoi riflessi d'oro
l'inquietante gorgo che pare profilarsi lontano, presagio quasi sinistro per la barca
immaginata da Maurice Ravel sull'Oceano e quando l'eco dei pelaghi sinuosi si spegne e
torna il silenzio, il mio applauso è sommesso per complicità con quella breve, intensa
emozione. Tra le grandi mani, le enormi dita di Sergio Calligaris, è parso passare
l'incanto del ricordo di quel mare che egli vide in una lontana mattinata americana:
l'Oceano Pacifico di fronte a Santa Monica.
Paolo Giorgi
PAOLO GIORGI è pittore ritenuto tra i più interessanti dalla critica provveduta:
basti ricordare l'invito a due edizioni della Quadriennale Nazionale, le mostre al Museo
del Folklore di Roma, al Palazzo Lanfranchi di Pisa, una mostra e l'acquisto di un suo
dipinto da parte della Galleria Comunale d'Arte Moderna e Contemporanea di Roma. È
presente nella collezione della Banca Nazionale del Lavoro e della Farnesina Ministero per
gli Affari Esteri. Di pari passo, Giorgi ha sempre coltivato un suo singolare spazio
dedicato alle lettere, alla scrittura di piccoli saggi, commenti e riflessioni su temi
legati al dibattito culturale. Appassionato cultore del melodramma ha scritto a lungo sui
programmi di sala del Teatro dell'Opera di Roma. È tra i redattori del mensile Via
Condotti, dove ha scritto contributi alle figure di grandi scrittori come Melville,
Proust, Joyce, musicisti come Verdi e Wagner, pittori quali Rubens, Vermeer, Francis
Bacon. Anche i lettori di 50&Più conoscono la singolare versatilità di Giorgi
scrittore, apparendo spesso, anche in questa veste, sulle pagine della rivista.