Musicalnews.com
Pubblicato il 23/05/2002 alle 09:16:55
Variazioni su tema di Sergio Calligaris
di Antonio Ranalli
Incontro con il celebre pianista-compositore argentino, italiano
d'adozione, autore di opere memorabili come "Il quaderno pianistico di Renzo
Op.7" e il "Doppio concerto per due pianoforti ed orchestra Op.41".
Abbiamo avuto l'onore di incontrare Sergio Calligaris nella sua accogliente abitazione
romana. Dal lontano 1974 il compositore risiede in Italia, dopo aver vissuto a lungo negli
Stati Uniti d'America. L'artista, nato a Rosario (Argentina), da genitori italiani, ha
iniziato l'attività concertistica dall'età di 13 anni, esibendosi nelle sale più
prestigiose del mondo. Ha quindi inciso per importanti etichette discografiche del calibro
di Emi, Orion Records e Agorà, e svolto attività didattica insegnando in prestigiose
università statunitensi e nei conservatori italiani di Napoli, Pescara e L'Aquila. Le sue
opere, tutte pubblicate dalla Nuova Carisch, vengono eseguite almeno tre volte a settimana
in tutto il mondo, rendendo di fatto Calligaris uno dei principali compositori di musica
classica-contemporanea viventi. La sua è una musica molto sofisticata sul piano tecnico,
sia dell'orchestrazione, sia della forma ed è aperta ad ogni tipo di pubblico.
Qual è il segreto del successo di Sergio Calligaris? "Disciplina", afferma
l'artista, "ogni giorno mi alzo alle 5 del mattino e mi dedico allo studio come se
dovessi prepararmi per un concerto. Questo è il segreto: la voglia di riuscire e
migliorarsi sempre. Devo tutto questo a mio padre e mia madre, che mi hanno educato ad
affrontare la vita nella realtà dei fatti. Bisogna sempre restare in contatto con tutti i
fatti della vita". Calligaris da buon argentino di sangue italiano non manca di
trasportarti nella sua solarità in un viaggio affascinante, che ha come mezzo la tastiera
del pianoforte. Mentre esegue "Une barque sur l'Océan", tratta da
"Miroirs" di Maurice Ravel, sembra di scorgere e sentire davvero
quell'oceano-mare evocato dal compositore francese. Ma anche in una composizione più
astratta come la "Mazurca in La minore Op.67 N.4" di Chopin è possibile
scorgere, attraverso la sua mirabile interpretazione, il potere evocativo della musica.
"Io penso", spiega Calligaris, "che la musica evochi sempre qualche cosa.
La musica deve avere qualcosa che non sia soltanto astratto. Del resto anche nella musica
più astratta nel subconscio c'è sempre qualcosa in rapporto ad una situazione o ad un
sentimento". L'artista può vantare una carriera ricca di riconoscimenti e
soddisfazioni importanti. Basti pensare che nel giugno del 1994, nell'ambito della
rassegna "I concerti di Rai 3", il suo "Concerto per pianoforte e orchestra
Op.29" registrò il più alto indice Auditel Rai per un concerto di musica classica,
riportando un successo tale da essere replicato qualche mese dopo. Oggi Calligaris è uno
degli artisti di punta della Nuova Carisch.
Antonio Ranalli: Nel suo catalogo discografico, a fianco di lavori di successo come il
"Concerto per pianoforte e orchestra Op.29", "Il Quaderno pianistico di
Renzo Op.7" ed alle sue incisioni da interprete di altri compositori, mi ha colpito
particolarmente il suo ultimo CD "Shorts for spot and film" (edito da Nuova
Carisch): come nasce quest'opera, direi insolita nel quadro delle composizioni di un
autore di musica contemporanea?
Sergio Calligaris: Lo spunto è quello di aprirsi ad un mondo più vasto di quello
concertistico. Credo sia una grande sciocchezza quando si dice che ai giovani non piace la
musica classica. Non è vero. Tengo sempre a mente il successo ottenuto dal celebre
"Piano Concerto No.3" di Rachmaninov, ribattezzato "Rach 3", dopo
essere stato inserito nel film "Shine". Quella musica era in un contesto che
interessava tutti. Dunque se noi presentiamo la musica classica in contesti che
interessano un vasto pubblico allora possiamo avere risultati interessanti. "Shorts
for spot and film" contiene piccoli frammenti delle mie composizioni, che potrebbero
essere adatti per spot e film. Si tratta di un CD riservato al circuito degli addetti ai
lavori. Sono sicuro che potrebbe essere un tipo di musica adatta ai mass-media.
AR: Ho notato nelle sue composizioni una struttura formale molto rigorosa, una musica
che definirei, in questo senso, "classicamente composta", quasi brahmsiana: cosa
ne pensa?
SC: Ha perfettamente ragione. Infatti, questo viene dalla mia formazione compositiva.
Mi sono laureato in Argentina con Luis Machado, appartenente alla schiera dei maestri
dogmatici, che imponevano quasi con la forza le loro idee. Questo è stato molto
importante per me, perchè in questo modo è avvenuta una sorta di emancipazione. Come
compositore posso dire che si tratta di un neo-classicismo di Brahms, dove ogni struttura,
ogni elemento tematico avviene nella sua variazione architettonica.
AR: Ciò che mi stupisce è che nel suo suonare, ora mi riferisco al Calligaris
interprete, si può ritrovare la stessa ferrea disciplina, lo stesso rigore: è come se ci
fosse un'unica filosofia di pensiero a governare il pianista-compositore. Sbaglio?
SC: Giusto. Collimano la parte del compositore con quella dell'interprete. Rigore,
disciplina e competenza: queste sono le regole che ritengo bisogna seguire. L'allenamento
strumentale deve essere sempre lo stesso. Ho focalizzato le stesse filosofie di vita nelle
due discipline.
AR: Maestro, le sue incisioni coprono l'arco di oltre trenta anni, caratterizzati dal
passaggio dall'analogico al digitale: qual è l'approccio di un'artista del suo calibro di
fronte ai cambiamenti delle tecniche di registrazione?
SC: Quando ho iniziato ad incidere l'ho fatto con esecuzioni e case discografiche
importanti. Ricordo che in studio si incideva con diversi microfoni piazzati vicino al
pianoforte: in alcune incisioni era facile ascoltare anche il colpo del martello dentro la
corda dello strumento. Con l'avvento del digitale, e le nuove tecniche di registrazione,
sicuramente possiamo avere un suono più perfetto. Oggi un errore nell'esecuzione è
facilmente modificabile in pochi minuti: ai miei esordi, invece, bisognava fare molta
attenzione a non fare errori, perchè altrimenti bisognava incidere tutto da capo.
Ascoltando le incisioni digitali di oggi mi sembra di trovare un suono più alieno, come
se provenisse da un palcoscenico lontano. Per questo trovo ancora eccitante e vivido il
suono di allora. Aveva sicuramente più lucentezza, ed era sicuramente più diretto.
Quello digitale di oggi è forse più filtrato.
AR: A quale delle sue incisioni da interprete è più affezionato?
SC: Sono tante le incisioni discografiche a cui tengo. Come interprete sono molto
legato all'album "The Most Beautiful Chopin" (etichetta Orion/Emi).
Quell'incisione fu fatta a Roma e tengo molto a cuore l'"Improvviso in Sol bemolle
maggiore Op.51". Altri dischi importanti sono i "Bis Celebri" (Emi-La Voce
Del Padrone) e "Fantasia Romantica" (Orion\Emi). Ancora ricordo come esecuzioni
il "Preludio in Do Diesis minore, Op.3 N.2" di Rachmaninov (incluso anche nel CD
"Sergio Calligaris, compositore ed interprete", edito della Ares in occasione
del XXV anniversario del debutto discografico dell'artista).
AR: Qual è il suo rapporto con l'industria discografica? Com'è nata la collaborazione
con la Carisch?
SC: Quando ho fatto il mio debutto nella discografia era il 1965. Mi trovavo a Radio
Vaticana per un'esecuzione radiofonica. Ricordo che l'allora direttore artistico, il
maestro Alberico Vitalini, venne da me e mi disse: «Lei potrebbe essere un magnifico
interprete di Chopin». Io in realtà avevo dei dubbi. Poi accettando il suo consiglio
incisi per la Emi l'album "Bis Celebri". Il mio splendido rapporto con Carisch
(oggi Nuova Carisch) è nato con il mio ritorno alla composizione. Avevo smesso di
comporre a 16 anni perchè in Argentina c'era una certa passione per l'avanguardia e
l'elettronica. Dato che io non trovavo un'affinità elettiva con questo linguaggio, ho
preferito dedicarmi all'attività concertistica. Il ritorno alla composizione avviene nel
1978, in una maniera del tutto casuale. Il mio grande amico Renzo Arzeni, un funzionario
del Ministero di Grazia e Giustizia e con un grande amore per la musica, aveva sempre
avuto il desiderio di poter suonare il pianoforte. Allora io gli dissi: «Ti regalerò un
microcosmo pianistico tutto per te». Nacque così "Il Quaderno pianistico di Renzo
Op. 7". Io l'avevo composto per farne dono al mio caro amico Renzo. Poi un giorno lo
feci ascoltare ad una grande pianista, mia carissima amica, Marcella Crudeli, che se ne
innamorò perdutamente, tanto che mi chiese se poteva eseguirlo in pubblico. L'opera venne
pubblicata da Carisch ed ebbe un grande successo. Con quest'opera mi era tornata la voglia
di scrivere. Io scrivo come mi pare. Uso tutta la mia tecnica nella maniera che ritengo
giusta per me. La fortuna è stata quella di trovare esecutori fedeli, che suonano la mia
musica con tanta passione, come se l'avessero scritta loro. Oggi mi ritrovo con migliaia
di esecuzioni eseguite in tutto il mondo. E soprattutto ho avuto una grande fortuna con
Carisch. Con Marco Volonté (direttore generale della Nuova Carisch) è nata una grande
amicizia. Tra noi c'è quel rapporto instaurato all'epoca dall'editore Fritz Simrock e
Brahms. E' molto importante trovare un editore che ha fiducia in quello che fai. Marco
Volonté è una di queste persone. Mi preme ringraziare anche Germano Dantone, Elisabetta
Rocco e Adriana Branchini dello staff Nuova Carisch, anche loro sostenitori di quello che
scrivo.
AR: A quali lavori si sta dedicando attualmente? Progetti futuri?
SC: Le mie ultime opere pubblicate sono state il "Doppio concerto per due
pianoforti ed orchestra Op.41" (dedicata al brillante duo composto dai pianisti Fabio
e Sandro Gemmiti), l'"Ave Verum Op.42" (pubblicata in due versioni), in ricordo
di Dario Montemurro, figlio di cari amici, e la "Suite Op.43" per due pianoforti
e 4 timpani ad libitum, un omaggio a mia madre. Prossimamente ci sarà una nuova
collaborazione con Vladimir Ashkenazy. Il maestro, infatti, ha in programma di dirigere il
"Concerto per pianoforte ed orchestra Op.29", con me come solista (lo scorso 30
giugno 2001, al Teatro Grande di Latina, in occasione del Concerto inaugurale del 37°
Festival Pontino, Vladimir Ashkenazy ha eseguito, con al clarinetto suo figlio Dimitri
Ashkenazy, la "Sonata Op.38" di Sergio Calligaris. L'opera è stata
commissionata dal direttore artistico del Festival Pontino, M° Raffaele Pozzi, n.d.a.).
AR: Come vede l'attuale scena della musica classica contemporanea in Italia e nel
mondo? Ci sono secondo lei dei nuovi talenti?
SC: Sul fronte degli interpreti c'è un giovane davvero promettente. Si chiama Roberto
Prosseda (giovane promessa di Latina, n.d.a.), un pianista che nell'ottobre dello scorso
anno ha ottenuto il terzo premio al concorso "Micheli" alla Scala di Milano (da
notare che il primo premio non è stato assegnato, n.d.a.). Prosseda ha in repertorio
anche "Il Quaderno pianistico di Renzo Op.7". Bisogna comunque notare che i
pianisti americani e asiatici, ma anche russi, da un punto di vista della disciplina e
dell'allenamento sono un passo più avanti degli europei. Questo perchè in loro c'è la
volontà e l'umiltà di migliorare ogni giorno. Pensiamo anche al canto lirico. Come mai i
cantanti coreani, che conoscono la musica lirica da poco più di 50 anni, sono riusciti ad
affermarsi nel mondo?
Per quanto riguarda i giovani compositori, invece, segnalo come nuovo talento Paolo
Cavallone (che ha recentemente pubblicato il suo CD di esordio "Contrasto"
n.d.a.). Bisogna comunque notare che oggi non tutto il pubblico è disponibile verso la
musica di avanguardia. Questo non è giusto. Ci sono cose molto interessanti, e la musica
di Paolo Cavallone è tra queste. Inoltre, bisogna tenere conto che gli esecutori cercano
brani che li possano imporre all'attenzione del pubblico. Per questo molto spesso
preferiscono rivolgersi ad un repertorio già conosciuto, piuttosto che scegliere
composizioni di nuovi autori.
Antonio Ranalli