MUSICA
N.125
(Zecchini Editore - Varese)
Aprile 2001 (pag.58):
COMPOSITORI
Sergio Calligaris:
La tradizione come audacia,
di Alessandro Zignani
Il pianista-compositore argentino illustra le tappe del suo
percorso creativo
«Il senso recondito di una composizione sta nella coerenza della sua struttura. Non ha
senso elaborare una melodia efficace se, sotteso a essa, non si sviluppa un discorso
armonico conseguente e necessario. Intendo dire: che abbia un senso solo in quel preciso
contesto. Nella mia musica, cerco di far diventare questa chiarezza formale intensità
espressiva. Per ottenere ciò, bisogna evitare la frammentazione: se un tema non evoca
allo spirito dell'ascoltatore un gioco di simmetrie che va calcolato, dal compositore,
come un architetto bilancia le spinte e le tensioni di un arco, l'emozione non potrà mai
sorgere. L'emozione è la conseguenza di una scelta poetica. Per questo, quando compongo,
ogni tema si delinea alla mia mente già caratterizzato da un'evoluzione armonica».
Sergio Calligaris vede la tradizione come una piazza dal cui centro si possano scorgere
sfumare in prospettiva tutte le direttrici di una città immaginaria. La musica, per lui,
è persistenza del significato nella verità della forma: «Una simbiosi difficile,
riuscita del tutto solo a Bach e a un certo Beethoven. Per esempio, se pensiamo agli
ultimi quartetti - uno dei modelli a cui ritorno con immutato stupore - al modo in cui la
dimensione orizzontale e quella verticale, la scissione analitica degli elementi tematici
e la loro ricomposizione secondo le strategie del contrappunto, compenetrandosi, diventano
un metalinguaggio, scopriamo che cosa la musica può aspirare a ottenere: una rivelazione
delle "verità ultime" non in quanto simulacri, ma nel flusso momentaneo del
tempo. Ciò che trovo commovente, in quei quartetti, è proprio questa sacralità
dell'attimo. Nel 1995 ho scritto un pezzo per orchestra d'archi: Toccata, Adagio e Fuga,
che cerca di ripercorrere questo stesso gioco di riflessi. Così, nell'Introduzione, ho
ridotto a cellule motiviche il successivo percorso melodico della fuga. Nella Toccata,
invece, sono ricorso a tecniche contrappuntistiche come l'inversione e l'aumentazione. Amo
molto queste "chiavi di volta", per così dire, del tempo contrappuntistico,
perché permettono di far diventare il tempo spazio, e ridurre il gioco delle progressive
tensioni armoniche alle dimensioni di una grande cupola cadenzale sotto la cui
articolazione l'opera musicale si illumina di riflessi».
L'evoluzione artistica di Sergio Calligaris non è delle più consuete: «Mi sono
diplomato in composizione a sedici anni in Argentina, dove sono nato. Poi, negli anni
Cinquanta, ho deciso di diventare un pianista. Non volevo confrontarmi con un clima
musicale all'insegna delle etichette politiche e della rottura a tutti i costi col
passato. Alla composizione sono tornato solo nel '78, per un omaggio musicale che volli
dedicare a un amico. Nacque così il Quaderno Pianistico di Renzo, con cui risorse in me -
complice anche la natura di Rocca di Mezzo, in Abruzzo, dove mi ritiro insieme ai miei
fantasmi di temi - l'impulso creativo».
Della sua carriera concertistica, Calligaris ha serbato un'etica artigianale che lo porta
a ideare le proprie opere avendo in mente le caratteristiche tecniche e psicologiche del
loro interprete designato: «Così è stato con la Sonata per clarinetto e pianoforte,
che ho scritto avendo in mente le caratteristiche di Vladimir Ashkenazy e suo figlio
Dimitri, cui è dedicata, mentre il Doppio Concerto op.37 serba qualcosa della
personalità del violinista Sergei Krilov e della pianista Stefania Mormone, che lo
presentano spesso in concerto. La mia recente opera dedicata a un duo è il Doppio
Concerto op.41 per due pianoforti e orchestra, eseguito in prima mondiale il 29
ottobre scorso a Taranto dal duo pianistico Fabio e Sandro Gemmiti insieme all'Orchestra
della Magna Grecia diretta da Vittorio Parisi: un direttore che, per quanto riguarda le
mie opere, considero un vero e proprio punto di riferimento».
Accanto a Beethoven, nella poetica di Calligaris occupa un posto fondamentale Brahms:
«Per questo, sono spesso stato etichettato come "neoromantico". Ma le forme
rigorose, il contrappunto, che io adopero, sono ripensamenti moderni e personali della
tradizione, non strategie per spremere fuori temi accattivanti da vecchie formule. In
questo contesto si inquadra la mia ammirazione per Brahms, che sapeva lavorare sui temi
fino a scinderli in microstrutture germinali da cui ricavare quella progressiva
ricomposizione dell'equilibrio tra intelletto e sentimento in cui la sua musica consiste.
Eppure, Brahms, a suo tempo, fu considerato un reazionario. Ci volle Schönberg, col suo
saggio sul "progressismo" delle strutture motiviche brahmsiane, per fare piazza
pulita dei luoghi comuni. Nel mio Doppio Concerto op.41, al principio di ognuno
degli Intermezzi, l'orchestra raccoglie il lavorio tematico e lo ricombina in arcate che
vogliono essere un'ascesa alla luce della forma compiuta. Nel comporli, era la lezione di
Brahms quella che sentivo più fortemente mia. Se non si costruisce la coerenza interna di
ogni parametro dalla dissipazione di ogni formula predeterminata, l'esito sarà una
sensazione di artificio. Tutto questo, riesco a sentirlo con forza, quando compongo:
proprio in quanto, in me, il concertista rimane sempre in ascolto».
Del resto, a dissipare l'equivoco sul "neoromanticismo" di Calligaris basterebbe
un brano come la Fuga in cui culmina l'op.36, dall'andamento marcatamente
atonale. Semmai, Calligaris mostra di pensare per "centri di consonanza":
armonie concatenate a costruire centri gravitazionali che sarebbero rimasti cari a un
compositore come Hindemith, con la sua fede nella capacità propria alla musica di
descrivere l'armonia del cosmo: «E infatti Hindemith è una delle mie fonti di
ispirazione perenni. Mi attira il modo in cui ripensa il contrappunto fiammingo, con tutti
i suoi effetti di eco e di risoluzione per moto retrogrado di spunti tematici a volte
deliberatamente banali. Nella mia ultima composizione, un Ave Verum per coro misto
o quartetto vocale e pianoforte, ho voluto ripensare in termini moderni questa complessa e
insieme elementare idea poetica per cui la musica sarebbe la risonanza dentro di noi di un
equilibrio di forze metafisico che la mente non può neppure concepire. Invece, la musica,
lo fa diventare al tempo stesso bellezza dei sensi e verità rivelata alla mente.
Di fronte a tutto questo, non ci sono avanguardie che tengano: l'unica possibilità è la
tradizione, l'apportare nel fiume del tempo la goccia luminosa della propria personalità.
Ecco perché il compositore che amo di più, in assoluto, è Schumann: le screziature
delle voci interne, l'improvviso impennarsi dell'invenzione sulla granitica saldezza
dell'intreccio tematico. Quanta umile grandezza, quanta volontà di comunicare, in quel
ricondurre le peristalsi del suo cuore dentro le campate della forma, le voci dei padri.
Inoltre, Schumann ripensa sempre in modo originale il problema del ritmo, senza il quale
non si dà la forma. All'origine, c'è sempre un atto di chiarezza intellettuale: se non
definisco prima una regola dalla cui trasgressione nasca, come gesto drammatico,
l'espressione, mi ritiro in un mio narcisistico compiacimento. E di questo silenzio nato
dalla troppa volontà di farsi sentire, trovo che la musica degli ultimi decenni sia fin
troppo piena».