PIANOTIME,
Anno XX - N.184
(Publitarget Srl)
COPERTINA
L'argentino di Roma (Pag.16):
Sergio Calligaris
rigore, disciplina e fantasia
del pianista-compositore,
di Raffaella Brizzi
Presentato in Prima mondiale al Teatro Grande di Latina in occasione
della 37° edizione del Festival Pontino.
Sergio Calligaris
e la "Sonata op.38 per clarinetto e pianoforte"
Pianista e compositore rigoroso che ha come principio primo la
disciplina ma allo stesso tempo è solare e amante dell'umanità.
Argentino, nato a Rosario, ha vissuto a lungo negli Stati Uniti. Ma ad un certo punto
della sua vita, dopo una carriera piena di concerti e di viaggi, si è innamorato di una
città: Roma. E non l'ha più lasciata. In Italia ha insegnato dal 1974, prima al
Conservatorio Statale di Musica S.Pietro a Majella di Napoli, poi al Luisa D'Annunzio di
Pescara, infine all'Alfredo Casella de L'Aquila.
È invitato spesso a partecipare alle giurie di importanti concorsi pianistici nazionali
ed internazionali. Le sue composizioni sono state eseguite con grande successo a festivals
italiani ed internazionali, presso la RAI, in numerose città: dall'Accademia di Santa
Cecilia di Roma all'Israel Philharmonic Orchestra Hall, alla Juilliard School of Music di
New York e in molte altre città importanti del mondo.
Ha inciso molti dischi per case discografiche importanti come la EMI-Voce del Padrone,
Classico Records e, recentemente, con l'Agorà, distribuiti dalla Nuova Carisch.
Ricordiamo il compact con il Concerto op.29, la Seconda Suite di Danze Sinfoniche op.27 e
la Sonata-Fantasia op.32.
La sua prima reale composizione è stata creata ed eseguita in teatro all'età di 10 anni,
ed ha continuato a creare fino ad oggi. Dall'età di 13 anni si è esibito nelle sale più
prestigiose di tutto il mondo e, come docente, negli Stati Uniti ha tenuto la cattedra di
pianoforte principale: dal 1966, presso The Cleveland Institute of Music; dal 1969, presso
la California State University di Los Angeles.
È doveroso ricordare alcune sue composizioni, come le "Danze Sinfoniche"
(Omaggio a Bellini) op.26 per grande orchestra, composte nel 1990; "Toccata, Adagio e
Fuga" op.36 per orchestra d'archi; il "Doppio Concerto" op.37 per violino,
pianoforte ed orchestra d'archi.
La recente composizione Sonata op.38, composta nel 1997 per clarinetto e pianoforte, è
stata eseguita in prima mondiale il 30 giugno 2001 all'inaugurazione del Festival Pontino.
La Sonata è stata dedicata a Vladimir e Dimitri (figlio) Ashkenazy, esecutori di una
bravura straordinaria, rendendo la composizione esattamente come il Maestro Calligaris
desiderava: bella, rigorosa, incisiva e intensa.
Noi abbiamo voluto conoscere meglio la profondità musicale, accompagnata dalla
disciplina, del Maestro Sergio Calligaris e così, qualche ora prima del concerto, al
foyer del Teatro ci siamo incontrati.
Può raccontarci cosa l'ha spinta verso il mondo musicale?
«Vengo già da una famiglia di musicisti dilettanti: papà era un ingegnere, ma
suonava benissimo il pianoforte, il violino e la chitarra classica, mentre dalla parte di
mia mamma erano tutti nel campo della danza classica con una tecnica severa, quella russa.
Quindi, fin da piccolo, sono stato circondato da persone e discorsi che appartenevano al
mondo della musica e della danza. Il mio debutto vero come compositore avviene a dieci
anni, nel lontano 1951: avevo composto un balletto per pianoforte ed orchestra intitolato
l'"Eterna lotta", la lotta tra il bene ed il male, eseguito subito in pubblico a
Rosario, in Argentina. In seguito, per 25 anni, ho suonato la musica anche degli altri ed
amavo la tecnica russo-americana, il cosiddetto "pianismo d'acciaio": per
esempio, noi suoniamo un pianissimo non con il peso ma con la velocità di abbassamento
del tasto; e ne parlavo oggi con il Maestro Ashkenazy: il braccio deve essere un po'
sorretto da sé.»
Ci descrive in modo più ampio qualche sua composizione a lei particolarmente cara?
«I "Tre Madrigali", dove ho avuto la possibilità di vedere realizzate le
coreografie da Vittorio Biagi: i testi sono di Giovan Battista Strozzi ed è per tre voci
soliste (soprano, mezzosoprano e tenore) accompagnate dall'organo e dal clavicembalo.
Composizione che mi ha dato grossa soddisfazione, perché ebbe grande consenso di
pubblico, critiche autorevoli ed inoltre la prima e la seconda rete televisive della RAI
la rappresentarono con grande successo.
Il "Quaderno pianistico di Renzo" op.7, che ho composto un anno prima dei
Madrigali (precisamente nel 1978), consiste in 10 pezzi brevi per pianoforte, dove si
trovano disegni di severo contrappunto ma dove non mancano linee melodiche con percorsi
pianistici molto veloci. Poi posso citare altri miei pezzi, come le "Danze
Sinfoniche" op.26 del 1990 per grande orchestra (Omaggio a Bellini), su commissione
del Teatro Bellini di Catania per il suo centenario ed in occasione del II Festival
Belliniano; mentre il Concerto op.29 per pianoforte ed orchestra fu composto nell'autunno
del 1993. Un altro recente concerto che ho scritto, dopo la Sonata op.38, è il Doppio
Concerto op.41 per due pianoforti ed orchestra, lavoro scritto poco più di un anno fa su
commissione dell'Orchestra Magna Grecia di Taranto ed eseguito da un brillante duo
pianistico giovane: Fabio e Sandro Gemmiti.»
Cosa amava principalmente da bambino?
«Due cose: i treni e il pianoforte. Sembrano due passioni che non hanno niente in
comune tra loro, invece si rispecchiano nella meccanicità in certi passaggi e nel lirismo
in altri, anche perché io devo ringraziare mio padre, che mi ha insegnato una disciplina
ferrea e, per un pianista, questa è una dote fondamentale.»
Quale maestro ricorda particolarmente?
«Io ho avuto un solo ed unico maestro per la composizione: Louis Machado, con
un'eccezionale preparazione accademica. Ancora oggi è vivo, perché era giovane, quando
dava lezioni a me, ed a 16 anni ho conseguito l'attestato di Professorato Universitario di
alta composizione, contrappunto e fuga in Argentina.
Ricordo però con uguale ammirazione i maestri che mi hanno formato pianisticamente e
sono: Jorge Fanelli, Nikita Magaloff, Adele Marcus, Guido Agosti, Arthur Loesser.»
Ci può anticipare qualcosa riguardo alla Sonata che gli Ashkenazy interpreteranno
stasera?
«Si può definire, in qualche modo, musica romantica in senso soggettivo ed
espressivo: si ispira come modello addirittura a Brahms, non come armonia o tematicità,
ma come rigore. Sono cresciuto sin da bambino, pianisticamente e compositivamente, con una
tecnica accademica precisa.
Quando ho composto il Concerto per pianoforte ed orchestra, un amico molto caro, Renzo
Trabucco - il quale ha anche curato il sito internet a me dedicato dalla Carisch - dopo
averlo ascoltato lo portò ad Ashkenazy, che rimase subito colpito e poi, dopo un po' di
tempo, mi chiamò chiedendomi che cosa avevo scritto d'altro, per clarinetto. Io dissi:
"Il Quartetto per clarinetti op.34". Nel frattempo, il Professor Raffaele Pozzi
sentì la registrazione e mi commissionò un lavoro per gli Ashkenazy.
Dopo quattro anni da quando ho finito la Sonata op.38, oggi finalmente ascolto la prima
esecuzione in quanto, quando io compongo, non suono una nota al pianoforte ma scrivo e
basta: e sentirà che interpretazione meravigliosa e rigorosa con questi straordinari
interpreti! Io sono un fanatico della tecnica, in quanto penso che non è condizionante ma
liberatrice, perché se un musicista non la possiede, è preoccupato di certi passaggi
mentre esegue il pezzo che non sa affrontare bene, quindi questo limita l'esecutore e la
sua comunicazione verso il pubblico. Con Ashkenazy, questo non succede. Comunque, il
risultato della mia composizione è come se uno sentisse una grande sonata classica con il
linguaggio contemporaneo: ho usato al massimo il rigore neoclassico in cui io credo. È
una perfetta forma sonata molto dilatata dove, al centro, appare il grande contrappunto
che ho curato in maniera maniacale, non soltanto con un primo e secondo tema classico, ma
con tante idee secondarie, un po' alla Brahms.»
Lei ha bruciato le tappe nella carriera: ha conseguito risultati giovanissimo,
specie nella composizione, ma anche ha ottenuto una cattedra a 22 anni a Cleveland. È
eccessivo paragonarla ad un nuovo Mozart?
«Questo me lo dite voi, ma quando uno ha avuto un padre friulano ed una madre
torinese, le coccole le ha viste raramente. Mi hanno abituato sempre che io ero come
qualsiasi altro ragazzo: uno è bravo a giocare a rugby ed un altro è bravo a fare
musica. Questo mi ha permesso di crescere con un alto senso del dovere ma, soprattutto,
vedere il mio prossimo non come una persona che mi deve qualcosa, ma sono io che mi devo
prodigare verso l'altro: se faccio un concerto e non ho l'elettricista che mi accende la
luce, l'accordatore che mi sistema il pianoforte, il pubblico che mi viene ad ascoltare,
che cosa sarei senza loro? Tutti siamo in un mosaico perfetto e siamo tutti necessari.»
È raro sentire parlare così un esecutore: solitamente sembrano avvolti tutti in
sfere di cristallo.
«Lo so, ma non è colpa loro, ma di chi li ha educati e fatti crescere in un mondo
dove venivano adorati e fatti sentire esseri speciali. Io penso che niente mi è dovuto.
Ecco, forse, la forma di pensiero verso l'umanità. E attenzione: non è che essere
gentili e ringraziare vuole dire essere stupidi, perché, purtroppo, spesso c'è
confusione in questo; ma vuol dire, semplicemente, amare la vita.
Penso che un artista possa avere un buon equilibrio tra la terra e il cielo, quando c'è
il lavoro costante dei friulani, la disciplina e la diplomazia dei torinesi, la premura e
l'apertura mentale degli americani e l'esuberanza latino-americana.
Allora suonare diventa naturale, ed io che sono stato professore penso che, se l'allievo
ha personalità, emerge per conto suo: la persona forte si libera sempre di qualsiasi
controllo ed esce rafforzata nello stesso tempo dalla disciplina; ma è anche importante
che il docente suoni per l'allievo: questo succede purtroppo raramente, invece dovrebbe
essere una costante abitudine, specialmente nei conservatori, perché credo che l'esempio
è il migliore modo per formare un allievo.»
Due parole, per favore, riguardo all'ultimo disco live "Sergio
Calligaris", dove è compositore e interprete: quando l'ha registrato e con chi?
«È un disco che contiene all'inizio il mio Concerto op.29 per pianoforte ed
orchestra, ed è stato registrato il 24 aprile 1994 in prima mondiale con la Radio
Vaticana. Dopo, l'Agorà, che è la casa discografica, e la Carisch, che invece effettua
la distribuzione, hanno fatto un accordo con la Radio Vaticana, che precedentemente aveva
ceduto i diritti di trasmissione per due anni all'UER (Unione Europea Radiodiffusione di
Ginevra). La registrazione di questo lavoro è avvenuta all'Auditorium di Santa Cecilia in
Roma, con me in qualità di solista accompagnato dall'Orchestra Sinfonica della Radio
Televisione Albanese, diretta da Massimo De Bernart.
Desidero citare le altre due mie composizioni di questo CD: una è la
"Sonata-Fantasia" per pianoforte solo op.32, che fu registrata dal vivo
all'Istituto di Musica Sacra, mentre la "Seconda Suite di Danze Sinfoniche"
op.27 per grande orchestra, con il pianoforte che è solo membro dell'orchestra e non
strumento solista, è stata registrata in studio, sempre con la Radio TV Albanese.»
Raffaella Brizzi