Newsletter - N.66
(Rachmaninoff Society)
Giugno 2006 (pag.10):
Sergio Calligaris
di Maurizio Brunetti
Sono pochi i compositori contemporanei che sanno farsi apprezzare sia dalla critica che
da un largo pubblico. L'argentino Sergio Calligaris è uno di questi. Pur non essendo mai
stato attratto dalle scelte stilistiche della cosiddetta avanguardia degli anni '60 e '70
non si sente però un neo-romantico. Piuttosto, il maestro accetta per sé la qualifica di
neo-classico. La sua musica, infatti, che pure è ricca di slanci lirici, non rinuncia al
rigore formale e all'arte del contrappunto, retaggio di una formazione adolescenziale
hindemithiana. Nel 2004, è stato nominato "Musicista internazionale dell'anno"
dall' International Biographical Centre di Cambridge (Regno Unito).
Mi ha spinto a contattare il maestro l'ascolto in particolare del suo Concerto per
pianoforte e orchestra op. 29 e delle sue Danze Sinfoniche op. 27 incisi nel 1996 in un
disco di cui si possono ascoltare alcuni brani sul sito http://calligaris.carisch.it/ .
Calligaris, che non ha mai nascosto la sua ammirazione per SVR, ha con entusiasmo
accettato di essere intervistato per la nostra Newsletter. Lo incontro nella sua casa a
Roma, dove risiede dal 1974.
- Maestro , ci racconta il suo "primo incontro" con la musica di
Rachmaninoff?
- Suonavo della musica sua già a dodici anni. A quattordici, ed era già un anno che mi
esibivo come pianista, ho eseguito per la prima volta in pubblico il suo Secondo Concerto
per pianoforte e orchestra. Naturalmente, allora, sentii il desiderio di confrontarmi con
l'interpretazione dello stesso Rachmaninoff ed acquistai dunque il disco. Era uno dei
primi LP che circolavano in Argentina, eravamo infatti nel 1955. Fu grande la mia
sorpresa, quando mi accorsi che Rachmaninoff talvolta non rispettava le sue stesse
indicazioni dinamiche. Imparai così che vi sono libertà che l'esecutore può prendersi
senza, per questo tradire l'autore. Le mie partiture sono ricche di indicazioni dinamiche;
tuttavia dico ai miei esecutori: "Non ne siate schiavi! Solo se voi eseguite la
musica come se nascesse da voi stessi, riuscirà ad essere convincente e
comunicativa."
- Anche come interprete di musica altrui Rachmaninoff si è preso simili libertà?
- Le faccio un solo esempio. Rachmaninoff ci ha lasciato del Carnaval op. 9 di
Schumann - che peraltro è l'autore che mi è più caro in assoluto - un'interpretazione
di una ricchezza che non trovo in altre, magari anche più rigorose dal punto di vista
filologico. Penso in particolare alla decisione inusuale di suonare le brevi di Sphinxs
e, in corrispondenza di esse, aggiungervi un tremolo e un vibrato assenti nella partitura:
la carica emotiva di quella sfumatura ha, in quel punto, del miracoloso e avrebbe
favorevolmente sorpreso, ne sono sicuro, lo stesso Schumann!
- In qualità di compositore, ci sono autori a cui lei si ispira?
- Direi di no. Vi sono certo autori che ritengo stilisticamente affini ed è naturale che
talvolta emergano in cellule tematiche, in spunti armonici o ritmici delle reminiscenze
dovute ad un inconscio amore per ciò che è riuscito a suscitare in me una forte emozione
estetica.
C'è chi ha paragonato la solidità architettonica, il virtuosismo pianistico, e la
grandiosità sinfonica del mio Concerto op. 29 al quarto concerto di Rachmaninoff. La
pianista Irina Osipova ha una volta affermato, poi, che il mio concerto per due pianoforti
op. 41 è vicino all'anima russa.
Chi vorrà ascoltare i brani di queste opere disponibili sul mio sito scoprirà tuttavia
un mondo armonico che tiene conto dell'impressionismo francese, di Hindemith specialmente,
e di Berg. Uso frequentemente accordi di quarta e di quarta alterata. Il cosiddetto
accordo mistico di Scriabin (Do, Fa#, Sib, Mi, La Re) è poi presente nella grande Fuga a
doppio soggetto che sta come sviluppo della sonata per clarinetto e pianoforte op. 38
dedicata a Vladimir Ashkenazy e al figlio Dimitri. Si tratta di un pezzo atonale,
strutturato però in modo tale che la dissonanza non indispettisca né disorienti chi
ascolta.
Nel corso del pomeriggio che abbiamo passato insieme, il maestro Calligaris ha
voluto donarmi un assaggio generoso della sua arte. Si è seduto al pianoforte, le spalle
completamente rilassate
e un istante dopo, senza che un attacco dall'alto o un
altrettanto declamatorio irrigidimento del busto lo facesse prevedere, le sue dita già
correvano sicure sulla tastiera regalandomi la bellezza dei riflessi marini - che le mie
parole di matematico non osano descrivere - di Une barque sur l'Ocean di Ravel. Il
recital, di cui conserverò gelosamente la registrazione, è continuato - rigorosamente
senza l'ausilio dello spartito - con la Novellette op. 21 no. 2 di Schumann, con il
Preludio Feuilles Mortes di Debussy ed è terminato con il Rondò op. 51 no.
2 di Beethoven suonato con un brio scattante, quasi elettrico. Mi colpiva, durante
l'esecuzione, la fermezza dell'avambraccio e la forza delle dita che, sole, sostenevano i
vari fortissimo.
- Sono un pianista di forza, formatosi alla scuola dell'argentino Jorge Fanelli e a quella
russa di fine ottocento sbarcata, per così dire, negli Stati Uniti. Sono convinto che
solo una mano forte può affrontare qualunque tipo di repertorio, e trovarsi a suo agio
sia con la leggerezza richiesta da Haydn e da Mozart, sia col pianismo percussivo di
Prokofiev e di Bartok.
- Ascoltando la sua interpretazione della Novellette, mi è sembrato che lei
abbia deciso di accentuare il più possibile il contrasto tra la natura dei suoi tempi,
situando il Florestano del Prestissimo con bravura in assoluta polarità con
l'Eusebio dell'Intermezzo.
- Anche in molta della mia musica c'è chi ha notato l'opposizione tra l'atteggiamento
ditirambico, passionale e quello elegiaco. Ad esempio, nel Concerto op. 41 per due
pianoforti, l'irruenza e l'impeto ritmico si risolve, ma solo temporaneamente, in due
momenti dal carattere più contemplativo che ho collocato proprio in due Intermezzi. In me
però, e a differenza di Rachmaninoff che era di indole malinconica, tra i due
atteggiamenti prevale decisamente un indole ottimista, che si concilia perfettamente, si
badi, con il mio amore per la forma e una vita disciplinata. Solo gli sciocchi, del resto,
associano in un rapporto consequenziale l'allegria alla superficialità!
- Affiora, mi pare, l'americano che è in lei
- Sono una persona del nuovo mondo con genitori italiani che si è formata all'incrocio di
molte culture. Convivono in me un gusto per il rigore contrappuntistico di matrice
mitteleuropea, l' esuberanza sudamericana, un certo vitalismo di matrice statunitense.
Purtroppo, rilevo in Europa un pregiudizio diffuso nei confronti, in particolare, degli
Stati Uniti. Io ho incontrato lì un modo artisticamente molto sofisticato, capace di
valorizzare il talento degli altri. A Cleveland, dove fui docente a partire dal 1964,
c'era una splendida orchestra diretta da George Szell che mi sembrò persino superiore
alle più prestigiose orchestre europee . Lì ha debuttato James Levine, si esibirono
George Petre ed Emil Gilels
E nessuno da quelle parti ha mai assunto l'atteggiamento
intellettuale schizzinoso di criticare la musica di Rachmaninoff perché
troppo
bella! Anche l'esperienza che ho fatto come docente alla California State University di
Los Angeles dal 1969 è stata estremamente stimolante
- A Cleveland lei ha conosciuto personalmente Victor Babin e Vitya Vronsky...
- Sì, erano stati amici intimi di Rachmaninoff e, all'epoca, costituivano un duo
pianistico eccezionale. Ho sentito la Suite per due pianoforti op. 17 di Rachmaninoff
suonata da loro. Le capacità espressive di due pianoforti hanno costituito per me una
forte fonte di ispirazione ed è un organico presente in molti miei numeri d'opera. Ho
anche composto due suite di Danze Sinfoniche mie, alle cui esecuzioni il pubblico
ha sempre reagito calorosamente. Nutro per la danza una grande passione. Persino la mia
prima composizione la Eterna Lucha, che composi a dieci anni, era un balletto per
pianoforte e orchestra
A questo punto il maestro, che vuol farmi partecipe di un'esperienza musicale piena
e gratificante mi fa ascoltare un brano della sonata op. 38 registrata dal vivo il 30
Giugno 2001 e interpretata in prima assoluta da Vladimir e Dimitri Ashkenazy. Si tratta
del primo tempo, un Allegro moderato e maestoso di 600 battute. La densità della
scrittura pianistica mi fa quasi pensare a un sonata per pianoforte con clarinetto
obbligato, uno strumento che -dal canto suo - si trova ad affrontare con eleganza passaggi
veramente ardui.
- Mi colpisce più di tutto la naturalezza quasi olimpica con cui Vladimir esegue
questo difficile pezzo...
- Pensi che, il giorno del concerto, Vladimir e Dimitri avevano provato già tre ore e
mezzo al mattino. Dopo pranzo Vladimir volle dedicare alla sua parte ancora 3 ore di
prove. Mi commuove il rigore e l'impegno con cui Vladimir ha affrontato la mia
musica
- Come è nata l'amicizia con il nostro presidente onorario?
- Il caro amico che cura il sito a me dedicato, entusiasta all'epoca del mio Concerto op.
29 di cui aveva ascoltato la versione diretta da Vittorio Parisi e messa in onda dalla
Rai, si mise in contatto con la Carish - che ha pubblicato gran parte delle mie opere -
ottenendo la partitura e una cassetta promozionale. Renzo si presentò a Milano, nel
camerino di Vladimir, che a Milano aveva appena diretto Sviatoslav Richter in uno dei
concerti di Beethoven. Basti dire che conservo tra le mie cose più care la lettera che
Ashkenazy mi scrisse comunicandomi di aver apprezzato il mio Concerto.
In seguito, nei nostri incontri abbiamo potuto constatare una forte affinità artistica e
spirituale. Entrambi attribuiamo ad esempio un valore grande alla disciplina su noi
stessi. Per ciò che riguarda la composizione, è importantissimo che un giovane, quasi
facendo violenza a se stesso, non si risparmi nello studio perché l'ispirazione sia al
più presto sorretta da una robusta logica architettonica
- Ci dica per concludere qualcosa dei suoi lavori più recenti e dei suoi progetti
futuri.
- La Carisch, alla quale sono riconoscente per la cura e la grafica accattivante delle sue
edizioni, ha pubblicato recentemente una versione per pianoforte solo del Panis
Angelicus op. 47 per pianoforte e coro misto o quartetto vocale (ad libitum) che ho
composto nel 2005 e che ho dedicato a Benedetto XVI. La parte pianistica non era pensata
come un mero accompagnamento ed è sufficientemente densa e strutturata da giustificare un
pezzo per pianoforte solo.
Il 29 Aprile prossimo, poi, a Mantova verrà eseguita in prima mondiale una versione per
flauto, pianoforte e orchestra d'archi del mio Doppio Concerto op. 37. con Stefania
Mormone al piano, Stefano Maffettoni al flauto (che sostituisce il violino della versione
del 1998) e l'Orchestra "Musica viva" di Milano.
Trascorrerò poi i mesi estivi , tra le belle montagne abruzzesi di Rocca di Mezzo. È lì
che intendo dedicarmi alla composizione di un lavoro commissionatomi dal giovane e
brillante direttore spagnolo Luis Carlos Badia per l'orchestra da camera Siglo XXI
che dirige.
- Un'ultima domanda. Come il tema del Dies Irae emerge in molti lavori di
Rachmaninoff, vi sono frammenti tematici o figurazioni ritmiche ricorrenti nelle sue
opere?
- Esiste un'opera che mi è particolarmente cara, il mio "Quaderno pianistico di
Renzo" op. 7, che segnò, nel 1978, il mio ritorno alla composizione dopo 25 anni
dedicati esclusivamente alla carriera concertistica e didattica. Si trattava di 10 pezzi
brevi dedicati al mio amico fraterno Renzo Arzeni, in cui la complessità tecnica è
elevata almeno quanto l'ansia di comunicare. La pianista Marcella Crudeli li volle
inserire nel suo repertorio prima ancora che li pubblicassi, e a tutt'oggi li ha eseguiti
più di 500 volte! Quell'opera costituisce per così dire, il mio manifesto estetico. In
ogni altra opera successiva ho sempre voluto citare un tema del "Quaderno",
nella speranza che anche queste potessero condividere con l'op. 7 l'onesta, la sincerità,
lo slancio, ed il calore umano di quelle pagine.
(Testo italiano integralmente redatto dall'Autore)
Maurizio Brunetti nell'abitazione di Sergio Calligaris
(Roma, 24 marzo 2006).
Maurizio Brunetti è un matematico. Insegna presso la Facoltà di Ingegneria
dell'Università "Federico II" di Napoli in qualità di ricercatore. Ha
conseguito il Dottorato in Matematica in Italia e il Ph.D. all'Università di Warwick
(UK). La sua attività di ricerca si svolge nell'ambito della Topologia algebrica. I suoi
lavori scientifici sono apparsi su riviste specializzate e presentate in occasione di
convegni internazionali.
Appassionato di musica classica, Brunetti è membro dal 1993 della Rachmaninoff Society -
che allora aveva appena due anni di vita.