SUONARE news, Anno 5 - N.42
(Michelangeli snc - Milano)
Luglio-Agosto 1999 (pag.34):
Incontro con Sergio Calligaris,
di Alice Bertolini
Non fate gli originali
È il consiglio del compositore e pianista argentino ai giovani.
«Il pubblico non va disorientato con la sperimentazione a tutti i costi».
Il successo del suo Doppio Concerto per violino, pianoforte e orchestra d'archi,
che alterna propulsione ritmica e squarci lirici.
L'importanza dell'aspetto emotivo dell'arte.
Chi ha paura della musica contemporanea? I tempi dell'avanguardia, arroccata in una
torre d'avorio, sono finiti da un pezzo, eppure il grande pubblico non ha dubbi se deve
scegliere tra un concerto di Mozart e un pezzo scritto dopo il 1950. Per fortuna oggi si
registra qualche segnale in controtendenza. È accaduto nella stagione di Milano Classica,
la nuova orchestra che ha raccolto l'eredità dell'Angelicum. Il Doppio Concerto
scritto due anni fa da Sergio Calligaris, e pubblicato dalla Carisch, ha infiammato il
pubblico. Merito anche dei brillanti solisti: il violinista Sergej Krilov e la pianista
Stefania Mormone, ai quali l'impegnativa e seducente composizione è dedicata.
L'indiavolato violino di Krilov strappa l'applauso persino quando - come un coup de
theatre - in mezzo a un incandescente crescendo, una corda si spezza. Pochi minuti per
sistemare lo strumento, poi la musica riprende alternando pagine di irresistibile
propulsione ritmica a struggenti squarci lirici.
Pianista oltre che compositore, Sergio Calligaris, 58 anni, è nato in Argentina, è
vissuto a lungo negli Stati Uniti, ma da più di vent'anni ha la cittadinanza italiana. Ha
insegnato nei Conservatori di Napoli, L'Aquila e Pescara e oggi vive a Roma. A chi gli
chiede di spiegare il successo della sua musica, risponde: "Essere pianista mi aiuta
a non perdere mai di vista il pubblico. Diversamente da alcuni colleghi, scrivo sempre
pensando a chi ascolta".
Il Doppio Concerto è scritto anche pensando a precisi esecutori?
Sì. Avevo sentito commenti positivi sul duo Krilov-Mormone. Quando finalmente ho
potuto ascoltarli sono rimasto davvero colpito dal loro talento e mi sono messo di getto a
scrivere. Dopo appena tre settimane la partitura era pronta e orchestrata.
Come ha impostato questo lavoro?
Ho pensato a una struttura classica, in tre tempi. Il primo è una Toccata
"tempestosa" come un oceano infuriato, interrotta da un Trio lirico e
malinconico. L'Adagio ha un carattere mistico, con un corale dell'orchestra. Qui il
violino deve cantare come farebbe un angelo. L'ultimo tempo, Allegro con fuoco, è
"brutale", quasi selvaggio. Come vede, non cerco l'originalità a tutti i costi.
Non credo che il pubblico vada per forza disorientato. Certo, non si può parlare di
linguaggio tonale: uso molti accordi alterati e passaggi politonali. Ma la scrittura
contrappuntistica è rigorosa: i miei modelli sono Bach e Hindemith.
Alla fine degli anni Cinquanta sembrava che avesse smesso di scrivere, cos'era
successo?
Ero impegnato come pianista. Ma, soprattutto, in Argentina imperava l'avanguardia
estrema. La parola d'ordine era sperimentare, senza nessun rispetto per il pubblico.
Quest'ansia di rivoluzione proprio non mi appartiene. Ho ricominciato a comporre quasi per
caso, con un pezzo d'occasione, "Il piano di Renzo", per il pianista Arzeni.
Lei vive da più di 20 anni in Italia, ma ascoltando il Doppio Concerto si ha
l'impressione che il Sudamerica le sia rimasto nel cuore.
Sì. Nelle mie composizioni riprendo molti elementi della tradizione popolare
argentina. Ma non è tutto. La mia anima sudamericana si rivela nell'importanza che
attribuisco all'aspetto emotivo dell'arte. Niente di più lontano da Stravinski: "La
musica esprime solo se stessa". Figuriamoci! La musica esprime stati d'animo e
sentimenti. Proprio in questo risiede il suo valore.
Al pianoforte, che repertorio ama suonare?
Soprattutto gli impressionisti francesi, Debussy e Ravel. Ma sono curioso. Ho studiato
persino alcune musiche postweberniane, che però ho abbandonato quasi subito.
Cosa sta scrivendo adesso?
Ho due commissioni: un concerto per violino e orchestra per Buenos Aires, con Camillo
Castagno, e un duo per due pianoforti per la Società dei concerti di Milano, con Fabio e
Sandro Gemmiti.
L'insegnamento ha da sempre un grande spazio nella sua attività, però recentemente
ha deciso di andare in pensione
Sì, smetto con il Conservatorio per dedicarmi a tempo pieno al pianoforte e alla
composizione. Ma non escludo di continuare a fare masterclass di concertismo, come
sto facendo a Roma, alla scuola "Insieme per fare", dove ho allievi promettenti.
Per esempio credo che sentirete presto parlare di Giampiero Belotti.
Perché non insegna composizione?
Non lo farei mai. Ascoltare troppo la musica degli altri potrebbe distrarmi. Ma ho un
consiglio per gli studenti di composizione: l'esperienza mi ha insegnato che è importante
studiare le partiture dei grandi autori di tutti i tempi e che non bisogna essere
ossessionati da ambizioni di originalità. Basti pensare a Sostakovic: non ha inventato
niente, eppure riconosci subito la sua musica meravigliosa.
Lei ha girato il mondo, qual è il suo commento sulla situazione musicale italiana?
Penso che se ne parli con eccessivo pessimismo. A dispetto delle difficoltà, in Italia
fioriscono importanti iniziative e si scoprono giovani di talento. Però c'è una cosa che
potremmo imparare dagli Stati Uniti: quando ero a Los Angeles, oltre alla prestigiosa
Filarmonica diretta da Zubin Mehta, c'erano più di 20 orchestre, da quelle di quartiere,
a quelle studentesche, ai pensionati. Ricordo che i miei allievi potevano esercitarsi
proprio suonando in queste formazioni "casalinghe". Lo Stato italiano dovrebbe
promuovere la formazione di orchestre anche per piccole stagioni. Sarebbe un passo
importante per la crescita professionale dei giovani: solisti, orchestrali e, perché no,
compositori.
Alice Bertolini