Sergio
Calligaris: Pianista e Compositore
Il pensiero del musicista dalle sue parole |
BOLLETTINO SIAE, Anno
68 - N.4 Una composizione di Sergio Calligaris, quando la presenza del pianoforte lo coinvolge anche come interprete, pone l'ascoltatore di fronte a un'alternativa: se apprezzare di più Calligaris come autore o come concertista. Un dilemma del genere è oggi più che legittimo, in quanto da tempo non si abbinano più le due attività: ma in passato era normale che convivessero, e in qualche caso a livelli eccelsi. È persino superfluo ripercorrere tutto un elenco di nomi che potrebbe partire da Mozart e Paganini e arrivare fino a Busoni. In ogni caso si tratta di un ritorno al passato. Bene: Sergio Calligaris, che quest'anno celebra, per così dire, i 45 anni di questa sua duplice attività (debuttò nella natìa Rosario a soli dieci anni con il balletto L'eterna lotta per pianoforte e orchestra) è in qualche modo un artista del passato che vive oggi. Rilancia con grandi esiti la figura romantica dell'autore-interprete, salvo lasciare tutto lo spazio che esigono agli aggiornamenti linguistici, all'evoluzione anche tecnica e soprattutto alla grande originalità espressiva. Il doppio ruolo è nella sua stessa biografia che in un primo momento alterna le due attività e solo più tardi le assomma. Nato in Argentina all'inizio degli anni Quaranta, Calligaris è vissuto a lungo negli Stati Uniti e dal 1974 è cittadino italiano. Nella prima giovinezza si dedica alla composizione volgendo in pratica quanto aveva appreso dal magistero illuminante di padre Luis Machado: ma è poi il concertismo che lo attrae e lo porta ad esibirsi nelle sale più prestigiose d'Europa, delle due Americhe e dell'Africa: gli stessi paesi, compresa l'ex Unione Sovietica, in cui un paio di decenni dopo verranno eseguite, presso le maggiori istituzioni concertistiche e i festival, le sue composizioni. Importante anche l'attività discografica (molti suoi dischi sono stati premiati da riviste specializzate) e quella didattica svolta sia negli Stati Uniti (The Cleveland Institute of Music e California State University di Los Angeles) che in Italia (i Conservatori Statali di Napoli, Pescara e L'Aquila dove insegna attualmente). Ed è stata proprio un'esigenza di tipo didattico che spinse Calligaris sul finire degli anni Settanta a tornare alla composizione con Il Quaderno pianistico di Renzo, che è diventato una sorta di colonna portante di tutta la produzione successiva. È in esso che si annida la poetica di questo autore, la sua efficacia di maestro, ma anche la forza espressiva di chi si propone nella doppia veste di autore e di concertista. È proprio su quest'ultimo aspetto che abbiamo voluto coinvolgerlo. VIRGILIO CELLETTI - Lei pensa che il compositore-interprete, l'autore che esegue proprie musiche sia una specie estinta, oppure ritiene che abbia ragione chi vede in lei un po' colui che rilancia a sorpresa il ruolo che fu nell'Ottocento (fermiamoci al pianoforte) di Chopin o di Liszt e nel nostro secolo di Rachmaninov o Prokofiev? SERGIO CALLIGARIS - Premetto che non ho alcuna intenzione di confrontarmi a Rachmaninov o a Prokofiev, né mi chiedo se sia giusto che altri lo facciano; però non c'è dubbio che alcuni lavori miei (e cito a mo' di esempio il Concerto per pianoforte e orchestra op. 29 e la Sonata Fantasia op. 32 contenuti in un Cd di recente pubblicazione), sono caratterizzati da un alto virtuosismo pianistico. In altre parole, se l'autore vuole anche eseguire Pagine come queste, dopo averle composte, deve possedere determinati requisiti di interprete. Un conto è strimpellare il pianoforte tra le mura domestiche, un altro affrontare in una grande sala da concerto un grande lavoro sinfonico, con gli occhi (e soprattutto le orecchie) del pubblico e della critica puntati addosso. CELLETTI - Quindi lei distingue anche fra una esecuzione in pubblico e una fatta, ad esempio, in uno studio di incisione? CALLIGARIS - Be', non proprio; però certo mi lusinga che queste due performances siano entrambe, come si dice, live, perché sono al massimo grado la dimostrazione di come uno riesca a suonare. Non c'è alcuna possibilità di correzioni, di rifacimenti, di manipolazioni a tavolino. Ma quello che io intendevo dire è che i due lavori sono pianisticamente impervi. E allora l'autore non esce da un'alternativa del genere: o li demanda a un altro interprete sufficientemente agguerrito, oppure deve essere egli stesso un pianista vero, che ha già suonato tutto il repertorio ad un certo livello e in questo caso fa anche un po' da rompighiaccio nel senso che offre egli stesso una prima esecuzione di pagine decisamente impegnative. CELLETTI - Insomma, come faceva Rachmaninov che incise egli stesso, per la prima volta, i suoi Concerti CALLIGARIS - Se proprio ci tiene al paragone, io mi arrendo. I Concerti di Rachmaninov sono lavori di grande difficoltà come questi miei. Rispetto a lui, però, io ho la fortuna di poter contare su una fedeltà fonica che, come in questo caso, è eccezionale. CELLETTI - Ma non c'è pure chi sostiene che il compositore non sia sempre il migliore interprete di se stesso CALLIGARIS - Sì, ma solo quando l'autore non sia al tempo stesso anche un concertista di riconosciuta bravura. Si pensa subito a Debussy e Ravel. Rachmaninov è il prototipo della situazione opposta. I grandi pianisti che l'hanno eseguito mentre lui era ancora in vita possono aver fatto cose egregie, non lo nego, ma la versione dell'autore rispecchia esattamente, anche grazie a una tecnica trascendentale, ciò che egli aveva in mente. Ed è la traduzione pratica di come egli pensava fisicamente, mentalmente e spiritualmente quei pezzi. Molte volte noi compositori scriviamo a tavolino: quando andiamo a suonare, il nostro fisico prende il sopravvento e ci fa eseguire il pezzo, soprattutto dal punto di vista della dinamica, in maniera leggermente diversa da quello che si legge in partitura. CELLETTI - Se un autore è anche un eccellente esecutore di sé, che cosa cambia nel suo giudizio sull'interpretazione di un altro? CALLIGARIS - Il vero compositore-esecutore ha un grande rispetto dell'interprete. E chi compone soltanto deve averne ancora di più, perché la musica è un linguaggio morto senza l'interprete. Dobbiamo convincerci che quell'essere umano che dà vita alla nostra creatura ha anche il diritto di difendere la sua personalità. Non distruggerà mai la personalità di un compositore, ma può certamente arricchirla. Lui ha il diritto di suonare il mio Concerto con la sua tecnica: ed io, dinanzi a una interpretazione di alto livello professionale, non mi permetterei mai di cambiare nulla. I criteri fondamentali di una composizione devono essere salvaguardati, ma le sfumature rientrano nella discrezionalità dell'interprete. Tutte le cose, per intenderci, che Horowitz definiva "quello che non è scritto". Virgilio Celletti
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A cura di Renzo Trabucco: Pagina aggiornata al 21/09/2000
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