Sergio
Calligaris: Pianista e Compositore
Il pensiero del musicista dalle sue parole |
terzapagina - N.2 Raggiungo il Maestro Sergio Calligaris a Rocca di Mezzo, verdeggiante località
dell'Abruzzo, dove è solito passare i mesi estivi in una sorta di ritiro creativo tra i
monti. Mi accoglie festoso nella riposante sede Madonna Delle Rocche, dove alberga. I suoi critici parlano spesso dell'incrocio fra motivi elegiaci e motivi ditirambici, a proposito delle sue composizioni musicali. Questa compresenza di grandi entusiasmi e improvvise malinconie, di passioni intense e di glaciali contemplazioni, ha moventi catartici o è il frutto di un puro e semplice impulso magmatico ed esplosivo fondato sull'osmosi fra essere e nulla, fra vita e morte, fra finito ed infinito? Potremmo parlare anche dell'osmosi tra bene e male, o dell'incontro materia-spirito, cui lei dedica, nei suoi scritti, moltissime attenzioni. Sono fusioni armoniche, contrappuntistiche. I due elementi nascono in contemporanea. Non c'è la sublimazione di una sensazione, perché la sensazione nasce già sublimata alla partenza. Se io evoco un senso guerriero, un senso eroico, un senso aggressivo, non è che mentre creo sto tramutando uno stato d'animo in qualcosa di superiore o di astratto. Le due funzioni (idealistica e sensitiva) nascono perfettamente integrate una nell'altra. Non c'è un ordine gerarchico, nel senso che quella spirituale sia superiore qualitativamente all'altra. Per me già nasce primordialmente organizzata e non mi pongo altri problemi. L'accetto così. Mi corregga se sbaglio. La sua è una poetica dell'energia. Come tale, è molto diversa dalle poetiche formalistiche dei nostri tempi, nichilistiche ed antirappresentative, ma è anche lontanissima dagli stilemi idealistici del passato, di un contenutismo statico, incompatibile con l'incontenibilità (ineffabilità) della pienezza d'essere evocata dalla sua arte musicale. È così? Esatto. Voglio però precisare che gli stilemi del passato, avendo io ricevuto una formazione accademica molto rigorosa, stanno radicati in me come una seconda natura. La forza primordiale (o "tellurica", per usare un termine a lei caro) nasce autoincatenata dal proprio intelletto in una forma tecnicamente e razionalmente consapevole. Ecco l'incontro tra finito e infinito, fra razionalità e spinta inconscia. L'energia che io evoco non è un caos, ma nasce autoorganizzata in forme logiche e coerenti. Spesso si confonde l'energia primordiale con il disordine e con il cattivo gusto, ma non è così. Razionalità e passionalità sembrano agli antipodi, ma si possono fondere. Siamo giunti al concetto filosofico dell'armonia dei contrari. Forse è per questo che, ascoltando la sua musica, io, affascinato dall'impervia figura del grande Eraclito, ho la sensazione di trovarmi a casa. Sono armonie non certo statiche, ma dinamiche e vitali. Sono incendi glaciali, panorami polari e atmosfere fiammeggianti. Le cito i quattro versi conclusivi della sua poesia Irrompe il sole: "Al solare bagliore/al barbaro alato canto/maestoso s'infiamma/l'amplesso del bene e del male". Qui lei coglie poeticamente ciò che trova anche nella mia musica: la perfetta fusione dei due elementi opposti che si integrano tra di loro. Mi lasci analizzare ancora le sue poesie che io trovo sorprendentemente affini al mio mondo musicale. Lei scrive (Strappa me, questo vento): "Dalle mie vene schizza/il sangue verso il cielo/e in groppa al vento, io fulgido guerriero/corro sfrenato incontro a me". C'è anche qui il senso di una dualità destinata a fondersi. Le leggo un altro frammento, da Ginestre esplodono: "Ho dentro un grido selvaggio/una bomba inesplosa di vita/un tuono che si srotola/da distanze sconosciute". È la potenza magmatica che lei trova nella mia musica. Che cosa pensa della dodecafonia? Il fronte della musica mondiale sembra oggi diviso in due: da un lato coloro che tentano di salvare l'antico principio della tonalità; dall'altro coloro che traggono le più estreme conseguenze dalla riforma wagneriana. Qual è il suo punto di vista? Una poetica che voglia essere dissonante può davvero percorrere il binario a senso unico dell'atonalità? Non è questo un nuovo schematismo? Qui tocchiamo un tasto straordinariamente interessante. Parliamo di Wagner, con la
sua armonia cromatica che è il continuo mutamento dell'armonia tradizionale. Questo
significa che, mentre la tonalità tradizionale ha un punto di partenza e un punto di
ritorno, in Wagner non c'è un punto di ritorno. È una partenza continua per sempre nuovi
cicli di armonie, sino a costituire quella che si chiama la musica, o melodia infinita. C'è però chi vuol conservare l'antico principio della tonalità. Non le sembra troppo regressivo questo? Non si potrebbe tentare di riassumere il contrasto tra tonalità ed atonalità in un unico fatto espressivo? Eccoci tornati all'amplesso tra finito ed infinito, tra vita e morte... Si può cercare di unire la dissonanza che genera l'atonalità con la consonanza che
genera la sovrapposizione di accordi tradizionali tonali. Lei ha tentato questo nella sua produzione artistica? Sì, certamente. La mia musica è imperniata sulla complessità armonica. In diverse
opere mie, certi momenti sono vicini alla tonalità, ma ho scritto lavori (come per
esempio "Preludio, corale, doppia fuga e finale per grande organo, op.19") dove
l'andamento è atonale. Nella "Sonata opera 38", dedicata al grande Vladimir
Ashkenazy, per pianoforte e clarinetto, la parte centrale contiene una fuga atonale a
cinque voci. Però le persone che ascoltano la mia musica atonale dicono: "Ma sembra
tonale!". Ci parli della sua formazione musicale in rapporto alla sua creatività. La mia formazione compositiva è cominciata a nove anni. Ero un ragazzino ed ho
avuto la fortuna di maestri sempre dogmatici che si sono imposti brutalmente alla mia
personalità. Allora, o uno soccombe, o uno si libera, ma se si libera può farlo solo
apprendendo nello stesso tempo la tecnica solida che soltanto le persone dogmatiche hanno.
La mia formazione tecnica è passata su questo rigore formale, spietatamente logico, che
però ha dovuto fare i conti con una natura selvaggia e primordiale insopprimibile. Lei si attiene al principio del cosiddetto "pianismo di forza". Cos'è? La scuola alla quale appartengo è quella argentina. Abbiamo due grandi scuole in
Argentina: quella napoletana di fine Ottocento, che è di una tecnica brillante digitale,
e quella che io ho acquisito con il mio primo maestro, Jorge Fanelli, che veniva dalla
grande scuola polacca. È, questa, la scuola della fissità del polso e della grande forza
digitale. C'è poi stata l'esperienza americana, proveniente dalla grande scuola russa di
fine Ottocento, che fa del pianista un atleta. Quali sono le sue ascendenze artistiche e quali i musicisti che più ama eseguire nei concerti che tiene in tutto il mondo? Il mio autore preferito in assoluto è Schumann. Lui parlava di se stesso come di Florestan ed Eusebius. Ecco i due estremi: Florestan rappresenta l'irruenza, lo slancio virile, fiducioso di se stesso; Eusebius rappresenta la parte contemplativa, meditativa e anche misteriosa. Adesso mi rendo conto perché Schumann è stato sempre il mio autore preferito. E lui aggiungeva: "C'è una terza anima in me: il maestro raro", che è la sapienza della mente. O forse la musa, il genius, lo spirito, l'arcano, l'intelligenza cosmica di cui si parlava prima? Insomma, quello che fa combaciare l'energia violenta di Florestan con la
contemplatività di Eusebius. Io amo molto suonare Schumann. Mi sta come l'anello al dito.
Poi amo moltissimo autori come Haydn, Chopin e Brahms. E che dire ancora di Rachmaninov?
L'abbina a me anche il fatto che era un devoto interprete della musica altrui. La piegava
talmente a modo suo, che un grande critico di New York ebbe a dire: "Io non vado ad
ascoltare Rachmaninov che suona Beethoven, ma vado a sentire Beethoven ricreato da
Rachmaninov". Prima lei ha fatto riferimento a dei pittori. Ci sono altri Maestri dell'arte figurativa che ama particolarmente? Sì, senz'altro. Le faccio altri esempi, nell'ambito dell'Astrattismo: Kandinsky e Mondrian. Di quest'ultimo amo la logicità strutturale, la spietatezza del tratto geometrico. Allo stesso tempo mi sento attratto dal continuo senso del movimento, dal colore in evoluzione fantastica di Kandinsky. Io cerco di unire i due linguaggi in un'unica espressione artistica. Musicale ovviamente. Franco Campegiani vive a Marino, nei Castelli Romani, dove è nato nel settembre
1946. Ha pubblicato nella collana di Mario dell'Arco due libri di poesie: "L'ala e la
gruccia" (Roma 1975) e "Punto e a capo" (Roma 1976). Sempre a Roma, con
l'editrice Rossi e Spera, ha pubblicato nel 1986 il testo poetico "Selvaggio
pallido", contenente disegni del Maestro Umberto Mastroianni. Inoltre, nel 1989, ha
pubblicato con l'editrice Ibiskos di Firenze, in una collana inaugurata da Domenico
Rea, "Cielo amico", raccolta di poesie a sfondo cosmico. Del 2000 è la silloge
"Canti tellurici" edita da Sovera Multimedia (Roma).
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A cura di Renzo Trabucco: Pagina aggiornata al 06/01/2006
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